
Un lungo e commosso applauso ha accolto sia l’arrivo che l’uscita dalla chiesa della bara bianca di Pasquale Dinoi, il netturbino manduriano di 53 anni travolto e ucciso da una moto all’alba di Ferragosto mentre era al lavoro. La comunità si è stretta attorno al dolore dei familiari nella nuova chiesa dedicata a San Giovanni Bosco, dove don Dario De Stefano ha guidato l’omelia funebre con parole di vicinanza e speranza. Di seguito le parole di don Dario.
«Qualsiasi forma di lavoro è dignità. È servizio verso il bene comune, è contribuire a rendere la casa comune più bella. Nel suo caso, insieme ai colleghi che oggi ringraziamo, più pulita e più accogliente.
Quando tutti noi siamo ancora a letto, a volte molto presto al mattino, già vediamo girare per le nostre strade chi lavora per noi; altre volte, se ci svegliamo più tardi nella notte, li troviamo ancora lì, operosi. E al mattino, quando ci alziamo, vediamo tutto pulito. Ma sappiamo bene che questo è il frutto dell’impegno di altri, che con discrezione hanno preparato tutto per noi.
Egli aveva chiesto di svolgere questo mestiere per vivere in modo dignitoso. Forse stava anche riorganizzando un po’ i suoi ritmi, immaginando il suo futuro. Non avrebbe mai potuto pensare di incontrare la morte, o “sorella morte” come la chiamava San Francesco, dal quale ha preso il nome il nostro Santo.
Con la sua semplicità e la sua umiltà, con il suo desiderio di restare tra i tanti quasi in una forma di nascondimento, non era una persona di molte parole. Io l’ho incontrato più di una volta: un buongiorno, una buonasera, anche durante la benedizione delle case, quando era insieme alla mamma, di cui si prendeva cura con affetto.
Non parlava molto, ma possedeva qualità che forse stiamo perdendo: l’umiltà, l’accoglienza, l’amore gratuito, la buona educazione. Doti che stanno diventando sempre più rare, non solo nei ragazzi e negli adolescenti, ma anche in noi adulti. Per questo ci sembra quasi un ragazzo di altri tempi, certamente frutto anche dell’educazione ricevuta in famiglia.
Manca, oggi, questa educazione alla relazione, alla gentilezza, all’accoglienza, alla condivisione. Tutti doni che il Signore, nella semplicità della sua vita, aveva posto nel suo cuore.
Io credo che, sia attraverso il suo lavoro sia attraverso la vita quotidiana, egli abbia lasciato un segno di bellezza in questa città, nella nostra storia, nella vita della sua famiglia e di tutte le persone che lo hanno conosciuto e amato, e che oggi sono qui per onorarne la memoria.
Preghiamo per lui, perché in quel momento in cui certamente non immaginava di dover incontrare faccia a faccia il Signore, il sentimento nato nel suo cuore sia stato quello del suo Cristo. Come accade a noi nei momenti difficili, nelle paure, nelle angosce, nei pesi della vita, quando cerchiamo qualcuno che ci possa aiutare, spero che anche lui abbia gridato al Signore.
E se pure non gli è stato concesso il dono della continuità della vita, siamo certi che ora egli è già tra le braccia del Signore, a contemplare il suo volto di amore e misericordia. Preghiamo per lui».
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