
Inascoltato per 24 anni dai giudici di sei tribunali e accecato dalla rabbia e dal dolore per la morte senza giustizia del figlio ancora ventenne, l’ex muratore di Fragagnano, Francesco Miccoli, ha portato ieri la protesta a 640 chilometri di distanza da casa, distribuendo volantini davanti al tribunale di Pesaro. Lì dove quasi un quarto di secolo fa è iniziata l’inutile ricerca della verità sulla fine del suo Lorenzo, militare di leva stroncato da una malattia dall’origine ancora controversa nel reparto di ematologia dell’ospedale pesarese diretto dal professore Guido Lucarelli. Aiutato da un senegalese che lo ha accompagnato sino alla città marchigiana, a ventiquattro anni esatti dal quel dolore immenso, il sessantaquattrenne ha distribuito i volantini con la foto del figlio e frasi che sono la sintesi di ventiquattro anni di dolore e di rabbia. Oltre all’immagine, nei volantini il pensionato fragagnanese accusa con nome e cognome i vertici ospedalieri del tempo e chiede di accertare la negligenza e imperizia dello staff medico che curò suo figlio. «Non mi arrenderò mai», ha ribadito Miccoli a chi gli chiedeva conto della protesta dicendosi pronto anche a intraprendere una causa civile.
Il 2 marzo del 1995, il giovane militare di leva (allora obbligatoria) cessò di vivere ufficialmente per leucemia acuta nel reparto di ematologia dell'ospedale civile di Pesaro. Il certificato medico parlò di spappolamento del fegato con valori ematici delle transaminasi arrivate a 25mila quando il livello medio è di 40.
Per i suoi genitori, invece (papà Francesco che ha perso lavoro e serenità è ora invalido mentre la mamma è malata di tumore), il loro Lorenzo è stato vittima di un farmaco-killer iniettato in vena nel reparto di ematologia. Un reparto balzato alle cronache per le numerose morti sospette avvenute nello stesso periodo in cui morì Lorenzo. Una storia di cui si è parlato tanto all’epoca con accuse di boicottaggi tra camici bianchi, sospette sperimentazioni clandestine, abuso di farmaci, addirittura di un infermiere suicida alla vigilia della sua testimonianza in aula. L’imputato principale, l’allora primario del reparto, l’ematologo Guido Lucarelli, padre del noto giornalista e autore di gialli, Carlo Lucarelli, lanciò delle accuse nei confronti di qualcuno che volutamente avrebbe iniettato una sostanza letale sui suoi pazienti per gettare discredito sul suo lavoro. «So chi è ma non posso dire il nome perché non ho le prove», aveva dichiarato il professore Lucarelli in aula. Per nove di quelle morti il tribunale di Pesaro ha riconosciuto le responsabilità dei medici stabilendo anche un risarcimento alle famiglie di un miliardo di vecchie lire ciascuna.
Nei volantini distribuiti ieri davanti al tribunale di Pesaro, c’erano accuse rivolte anche alle famiglie delle altre vittime definite «vigliacche» perché hanno accettato il risarcimento senza voler sapere i nomi dei responsabili di quelle morti per chiederne conto davanti alla giustizia. Francesco Miccoli invece no. Sei inchieste aperte dai suoi esposti e tutte archiviate. Ma lui non demorde, non vuole arrendersi e lo ha ribadito ancora una volta ieri così lontano da casa: «Qualcuno deve ancora dirmi perché è morto Lorenzo. E io sono qui, davanti al tribunale, a ricordare ai giudici che non mi arrendo finché vivrò. Voglio avere giustizia per mio figlio».
N.Din.
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