Il gip del Tribunale di Taranto, Rita Romano, ha definitivamente archiviato la querela presentata dall’imprenditore savese, Fernando D’Ambrogio, nei confronti del giornalista Nazareno Dinoi, accusato di diffamazione aggravata a mezzo stampa. Il giornalista era stato denunciato per due articoli pubblicati su La Voce di Manduria e sul Quotidiano di Taranto che davano conto di un avviso di conclusione delle indagini della Procura tarantina che aveva raggiunto l’imprenditore savese titolare di un’agenzia funebre, accusato per il delitto di incendio commesso in danno delle autovetture del sindaco di Sava, Dario Iaia e di sua moglie Novella Pastorelli e di turbativa d’asta in relazione di una gara di appalto per l’affidamento dei servizi cimiteriali del comune di Sava, nonché, in concorso con altri soggetti, del delitto di estorsione in danno del rappresentante della società vincitrice dell’appalto. I fatti reati risalgono al 2013 mentre la chiusura delle indagini al 2017, data dei due articoli incriminati.
L’imprenditore indagato nella sua querela lamentava in particolare l’utilizzo del termine «racket» riportato nel titolo dell’articolo, «evocativo – sosteneva – di un contesto di criminalità organizzata e perciò appositamente adottato per alterare il vero al chiaro scopo di meglio catturare l’attenzione del lettore», inducendo in esso «la convinzione che l’indagato sia stato già condannato e soprattutto riterrà quest’ultimo al centro di una associazione per delinquere ramificata e particolarmente agguerrita perché intenzionata ad imporre i servizi funerari agli onesti cittadini».
A queste accuse il pubblico ministero Maurizio Carbone, procuratore aggiunto della Repubblica di Taranto, aveva proposto l’archiviazione contro la quale l’imprenditore D’Ambrogio aveva avanzato opposizione respinta definitivamente dalla gip Romano.
Le motivazioni della giudice richiamano quel sacrosanto diritto di cronaca molto spesso calpestato e scoraggiato dalle cosiddette querele temerarie, presentate sempre più spesso allo scopo unico di intimidire il giornalista (soprattutto se privo di coperture da parte di editori dalle "spalle larghe"), più che per rivendicare un altrettanto sacrosanto bisogno di tutelare e difendere l’integrità morale e sociale della persona presuntivamente offesa o diffamata.
Ecco cosa scrive la giudice.
«E’ innanzitutto evidente che le espressioni utilizzate nell’articolo pubblicato in esame corrispondono alla verità (quest’ultimo termine nell’ordinanza di archiviazione viene riportata con la sottolineatura) dei fatti». Basterebbe questo. Ma la giudice prosegue così la sua analisi. «Lo scritto non contiene alcuna espressione gratuitamente denigratoria o sovrabbondante rispetto al contenuto, come già detto veridico, della notizia». Corretta, per la giudice Romano, anche la parola "racket" inserita nel titolo. «Anche l’utilizzo del termine "racket" (che nella traduzione dall’inglese sta ad indicare un giro o traffico di natura illecita), non appare tale da prevaricare né il limite della verità, né quello della continenza poiché i fatti veri oggetto della notizia riguardano una serie di reati quali l’incendio e l’estorsione senz’altro evocativi di ambienti criminali trattandosi di delitti cui solitamente fanno ricorso consorterie criminose per imporre le proprie pretese illecite». La notizia, prosegue la giudice nell’ordinanza, «non trasmoda in insulto gratuito o attacco personale», proprio per la sua «innegabile rilevanza pubblica … riguardante preoccupanti episodi in danno del sindaco del comune di Sava e di altri imprenditori partecipanti alla gara d’appalto». In quanto alla forma narrativa utilizzata dal giornalista, la giudice rileva, che per tutto lo scritto «viene adottato come modo verbale il condizionale» senza «aggiunte di condotte diverse o ulteriori rispetto a quelle ipotizzate dal pubblico ministero» a carico dell’indagato.
Per arricchimento di cronaca, è utile sapere che l’imprenditore D’Ambrogio, con sentenza dell’11 dicembre scorso, è stato poi condannato in primo grado alla pena di 4 anni e mezzo di carcere per due episodi di estorsione, una consumata e l’altra tentata, mentre è stato assolto dalle altre accuse di incendio e turbativa d’asta.
La definitiva archiviazione della querela, chiesta la prima volta dal pm e confermata poi dal gip dopo opposizione di D’Ambrogio, offre la possibilità al giornalista querelato di avvalersi a sua volta del diritto di denunciare l’imprenditore per lite temeraria e calunnia.
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2 commenti
La francy
mer 13 maggio 2020 06:59 rispondi a La francyUn ottima notizia e un prevedibile epilogo che restituisce giustizia di cronaca non solo al direttore della Voce di Manduria ma a tutta la categoria , ????????, troppo spesso la categoria dei giornalisti viene ingiustamente attaccata da questo tipo di situazioni con l unico scopo di mettere il bavaglio all informazione !!!! Il mio consiglio sarebbe quello di procedere con la controquerela per due motivi decisamente concreti 1) al fine di tutelarsi da possibili ritorsioni è bene che si instauri una condizione giuridica chiara e precisa di cui la magistratura sia costantemente informata 2) instaurare un percorso giuridico che nel suo costituirsi riporti dettagliatamente tutte le vicende avvenute in itere al fine di creare un ulteriore Fascicolo Attivo , indi , ulteriori indagini.
Claudio Guerriero
ven 15 maggio 2020 01:08 rispondi a Claudio GuerrieroPienamente d'accordo