Venerdì, 18 Luglio 2025

Cultura

La parola all'esperta

Asilo per bambine di famiglie arcobaleno, cosa ne pensa la psicologa manduriana

Asilo arcobaleno Asilo arcobaleno

A Berlino aprirà a breve un asilo nido pensato per tutti i bambini di genitori che vogliono un contesto che mostri, e non nasconda, la realtà lgbtqi+ a partire dalle favole che verranno raccontate. Accoglierà 93 piccoli con le proprie famiglie arcobaleno e l’idea è che le storie contengano anche principi che sposano principi o principesse che sposano principesse e tante altre iniziative educative simili. Un asilo “friendly” o “ghetizzante“?

Tra gli obiettivi dei fondatori dell’asilo nido berlinese c'è, secondo le parole dello stesso direttore M.W., «il desiderio di creare i presupposti per cui un bambino gay trovi meno difficile riconoscersi e fare coming out». Ma si può parlare veramente di inclusione realizzando una struttura che circoscrivi la comunità arcobaleno? Lo abbiamo chiesto alla psicologa manduriana Loredana Pulieri che ci ha risposto con un altro punto interrogativo. «Non sarebbe più utile integrare il mondo lgbtqi+ all’interno dei contesti scolastici ed educativi attuali – ci ha spiegato la psicologa manduriana -, lavorando sullo sviluppo delle emozioni e sui pregiudizi, sia sessuali che legati ai ruoli alla soggettività?».

È concisa e va dritta al punto la risposta di Pulieri, che non vede nella costruzione di un asilo gay oriented la giusta direzione per poter parlare di inclusione e di parità. Bisognerebbe invece partire dagli sili già presenti sul territorio e rinnovare il loro sistema educativo verso un approccio di studio che coinvolga tutti i tipi di famiglie. Anche se il problema non dovrebbe porsi perché in Italia «rischia di essere utopistico che un asilo lgbtqi+ possa mai essere costruito», confessa la donna. E quindi quale alternativa? «Per parlare di integrità servirebbe un asilo per tutti che possa andare a insegnare una sensibilità tematica al mondo lgbtqi+ e che vada a smontare pregiudizi e stereotipi uomo – donna», dice.  Insomma più apertura mentale che apertura di strutture per la professionista che conclude: «Se vogliamo superare lo stereotipo dovremmo partire dal presupposto che non esiste il diverso, ogni soggettività è unica nel suo genere».

Marzia Baldari

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