«Finalmente ho trovato persone che sono per me come una vera famiglia». Sono le prime parole di Giovanni, così chiameremo il pensionato invalido diSava, sessantuno anni, bullizzato e minacciato per anni da un gruppo di ragazzi e adulti, venti dei quali sono finiti in carcere o ai domiciliari nel blitz dei carabinieri intitolato «bad boys». L’uomo che sull’orlo della disperazione ha avuto la forza di denunciare i suoi aguzzini che secondo le accuse della procura si facevano consegnare piccole somme di denaro prosciugando settimanalmente e mensilmente la pensione d’invalidità, vive in una comunità religiosa fuori provincia dove è stato confinato per garantirgli sicurezza. Da martedì mattina, quando è stato prelevato dai carabinieri dalla casa dove alloggiava a Sava, il sessantunenne non ha contatti con nessuno del suo paese, neanche con i suoi parenti, un fratello e una sorella con i quali già in precedenza aveva rapporti quasi i. Gli unici a tenere contatti con lui, ora, sono i carabinieri della stazione di Sava e l’avvocatessa Agnese Pulignano che si prende cura di Giovanni in forma volontaria. Si sente con lui quotidianamente, aggiornandolo su quanto è avvenuto dopo gli arresti e preoccupandosi della sua permanenza in quel rifugio. «Mi dice che sta vivendo una nuova vita, è molto sereno e a vederlo sembra già un’altra persona», afferma l’avvocatessa che descrive così lo stato rassicurante del suo. Giovanni legge molto, i suoi numerosi libri, tutti di genere religioso, sono andati distrutti nel rogo che ha bruciato gran parte del materiale di ogni genere che raccoglieva per strada e ammassava compulsivamente in casa. «L’ultima volta che l’ho sentito – racconta l’avvocatessa Pulignano –, mi ha detto di trovarsi molto bene e che si sente finalmente in famiglia». Dalla piccola comunità che lo ospita, esce regolarmente quasi ogni sera e rientra quasi subito. «Si sente rinato, “quando vado in giro nessuno più mi insulta”, mi ha detto», riferisce ancora l’avvocatessa che si è preoccupata anche di recuperare, trovandogli un ricovero sicuro, il motoape del suo assistito. «Oltre all’appartamento danneggiato dall’incendio che aveva donato alla sorella mantenendone l’usufrutto, il piccolo Ape è il suo unico bene a cui è molto legato», spiega la sua curatrice legale.
Con quel piccolo mezzo meccanico, un Ape Piaggio, Giovanni andava in giro per negozi ritirando cartoni ed altri rifiuti ingombranti che provvedeva a smaltire nell’isola ecologia in cambio di pochi piccole somme di denaro. La sua mania poi lo spingeva ad accumulare in casa gran parte del materiale che non portava in discarica. Cartoni, plastica, giornali, oggetti inservibili che lui accatastava nelle stanze. Una mania che era lo specchio del suo disagio. «Tutti i miei dispiaceri che ho accumulato nel tempo mi hanno fatto venire questo forte legame che ho per gli oggetti che ho accumulato ed ammassato in casa nel tempo», dirà ai carabinieri che lo interrogavano il giorno dell’incendio. Ritirava rifiuti dai commercianti che lo pagavano perché la pensione di 515 euro al mese non bastava mai ai suoi aguzzini che approfittando della sua debolezza e solitudine lo usavano come un bancomat.
Ieri intanto, gli unici due «bad boys» che hanno evitato il carcere dovendo rispettare solo l’obbligo di non avvicinamento alla vittima sono stati sottoposti all’interrogatorio di garanzia assistiti dagli avvocati Alessandro Cavallo e Fabio Falco, avvalendosi della facoltà di non rispondere.
Nazareno Dinoi
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