Si potrebbe aprire un altro capitolo nel giallo sulla morte di Michele Dinoi, il diciottenne manduriano che tre anni fa fu trovato in fin di vita sul pianerottolo di casa con la testa incastrata tra le sbarre di ferro del parapetto. Rianimato sul posto e trasportato in ospedale a Manduria, il giovane non riprese mai conoscenza entrando in uno stato di coma durato sei mesi fino al tragico epilogo della morte avvenuto il 24 marzo del 2018 nella clinica Villa Verde di Lecce dove era stato nel frattempo trasferito.
Dopo la richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero Lucia Isceri, il padre e la sorella del giovane che sin dal primo giorno hanno chiesto di sapere la verità su quell’assurda fine, hanno dato mandato per opporsi all’avvocatessa Sara Piccione la quale ha già presentato due integrazioni di querele.
Delle indagini si sono occupati i carabinieri del nucleo investigativo della compagnia di Manduria che hanno studiato analiticamente il contenuto di tutte le chat conservate nel telefono della vittima e raccolto decine e decine di testimonianze e versioni dei fatti da parte di persone informate sui fatti, tutti amici del giovane. Dopo tre anni di investigazioni e perizie medico legali, gli inquirenti hanno concluso che la morte è stata la causa di una caduta accidentale.
La conseguente richiesta di archiviazione ha lasciato l'amaro in bocca ai familiari per l'assurdità del tragico evento del quale non riescono a farsene una ragione. Per questo si sono rivolti ancora una volta al loro legale che ha depositato le integrazioni relative a nomi nuovi di persone trovate sempre nelle chat recuperate nella memoria del telefono. Oltre a questo, l’avvocatessa Piccione ha rilevato ulteriori circostanze definite «strane». Si tratterebbe di nuovi elementi di cui i familiari sarebbero venuti a conoscenza in questi ultimi mesi e che potrebbero essere utili alla Procura per non chiudere il caso. Padre e sorella riconoscono comunque agli investigatori l’ottimo lavoro svolto in questi tre anni.
A chiedere giustizia per la morte di Michele è anche sua madre che separatamente dal marito e dalla figlia (la coppia non viveva e non vive insieme), si è invece rivolta ad un altro avvocato, il penalista Fancesco Miraglia il quale si chiede il perché dell’esclusione dalle indagini della sua assistita. «Prima di archiviare il caso – scrive in una nota l’avvocato Bonafede -, chiediamo quindi di sentire la madre e i suoi parenti e lanciamo un appello al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede: una madre attende da due anni di conoscere come è morto suo figlio e un ragazzo di diciotto anni merita giustizia». La madre del ragazzo ha presentato a sua volta due esposti alle procure di Taranto e Lecce chiedendo di indagare per omicidio a carico di ignoti. La procura salentina è stata coinvolta perché la morte del diciottenne è avvenuta nella clinica leccese specializzata in risvegli dal coma.
Relativamente alla richiesta di archiviazione proposta dal piemme, toccherà ora ad un giudice del tribunale di Taranto rivalutare eventualmente il caso respingendo la chiusura e ridare speranza ai familiari della giovanissima vittima.
Nazareno Dinoi
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