L’imprenditore manduriano, Pasquale Pedone, ha ottenuto la libertà dopo tre anni di detenzione ai domiciliari. Implicato nell’inchiesta dell’antimafia leccese denominata Impresa, quella che ha dato il via allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune di Manduria, il 65enne stava scontando una pena di cinque anni di reclusione, ottenuta con il rito abbreviato, per un episodio di estorsione commesso, secondo i giudici di primo grado, ai danni di un’impresa impegnata in lavori di scavo.
Nel corso del processo che si è svolto nell’aula bunker del tribunale di Lecce, Pedone era stato assolto «perché il fatto non sussiste» dall’imputazione più grave di concorso esterno nell’associazione mafiosa su cui si è fondata tutta l’inchiesta. «Sotto il profilo cautelare si tratta di un fatto processualmente significativo – scrivono i giudici della sezione feriale della Corte d’Appello di Lecce a cui il suo avvocato ha presentato l’istanza -, essendo venuta meno da un lato l'imputazione riguardante il concorso esterno nell'associazione mafiosa, permanendo l'affermazione di penale responsabilità per un solo episodio estorsivo, sebbene aggravato anche ai sensi dell'articolo 7 d.l. 152/91, ma commesso fino al novembre del 2013, dall'altra – aggiungono i magistrati -, lo stesso primo giudice ha escluso aumenti di pena per la recidiva, la cui configurabilità è notoriamente legata alla sussistenza di una concreta pericolosità sociale».
Oltre a non essere considerato un pericolo per l’ambito sociale in cui opera, a molto è valsa la buona condotta dimostrata nel periodo di detenzione domiciliare. «Va anche detto che il Pedone – si legge nella sentenza - è sottoposto a misura cautelare da oltre tre anni, a fronte di una condanna in primo grado di anni cinque di reclusione, senza che risultino dagli atti segnalate violazioni delle prescrizioni». A convincere i giudici a liberarlo, anche l’età e il precario stato di salute dell’imprenditore che potrà ora muoversi con più libertà per le sue esigenze di natura diagnostica e terapeutica.
Il manduriano era finito sotto processo anche in un altro filone dell’inchiesta, stralciata e confluita in un altro fascicolo di cui si è occupato il Tribunale di Brindisi (i reati contestati si sarebbero svolti in quella provincia), dalla quale è stato poi prosciolto.
N.Din.
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1 commento
Domenico
mer 19 agosto 2020 11:28 rispondi a DomenicoIl cognome non deve costituire pregiudizio. Notoriamente Manduria ha conosciuto omonimi di diversa natura ma, come hanno stabilito i giudici, una sola condanna per un solo reato, ancorché grave, non può precludere il recupero sociale di un individuo che ha dimostrato di volersi reintegrare. Auguri!