Il Comune di Manduria si costituirà parte civile nel processo di appello dell’inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Lecce, denominata «Impresa» che ha portato, due anni fa, allo scioglimento per infiltrazione mafiosa della Città Messapica. La commissione straordinaria composta dal prefetto in pensione Vittorio Saladino e dal vice prefetto Luigi Scipioni (entrambi in regime di smart working) e dal funzionario della Prefettura leccese, Luigi Cagnazzo, ha deliberato l’atto che affida all’ufficio legale interno l'individuazione di un professionista esterno a cui affidare l’incarico di rappresentare l’ente nel processo che si aprirà il prossimo 29 aprile nella Corte d’appello di Taranto sezione distaccata dai Lecce. Nella fase di fissazione dell’udienza preliminare, il giudice delle indagini preliminari del Tribunale salentino dove si è istruito il processo, indicava il comune di Manduria come parte lesa relativamente ai reati di scambio elettorale politico mafioso e corruzione in concorso di cui erano indagati alcuni ex amministratori tra i 75 indagati dell’inchiesta.
Dei tanti indagati, a finire sotto processo con il rito abbreviato sono stati in 57 quasi tutti condannati. In primo grado il massimo della pena, 16 anni (il pm ne aveva chiesti 20 compresa la riduzione di un terzo dell’abbreviato), è andato al manduriano Antonio Campeggio, detto «scippatore», pluripregiudicato già condannato per reati di mafia, ritenuto a capo di un sodalizio criminale di stampo mafioso, specializzato nel traffico della droga e le estorsioni con interessi nelle pubbliche amministrazioni, operante nei comuni di Manduria, Sava e San Giorgio Jonico. Pena ridotta anche per il suo presunto braccio destro, Giovanni Buccoliero che dai 18 anni chiesti dall’accusa è sceso a 14.
Per quanto riguarda i politici e gli imprenditori imputati, la cui presunta collusione con la criminalità organizzata aveva aperto le porte alla commissione d’accesso antimafia e in seguito lo scioglimento del comune per condizionamento mafioso, nei loro confronti, ad eccezione di un solo caso, il giudizio finale ha tagliato nei loro confronti i reati di stampo mafioso le aggravanti di mafia. L’unico ex politico che deve ancora rispondere di reati associativi di mafia, (con l’esclusione comunque delle aggravanti mafiose), è Massimiliano Rossano, ex assessore allo spettacolo e sport, condannato a 7 anni, ancora in carcere, dichiaratosi sempre innocente.
Nazareno Dinoi
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sab 18 aprile 2020 01:06 rispondi a 763munnezz