Giovedì, 25 Aprile 2024

Giudiziaria

Nel dare notizia di tale procedimento, il giornalista Dinoi aveva erroneamente descritto l’imputazione a carico dell’ex prefetto di Rimini con la seguente contestata frase: «Saladino avrebbe anato senza motivo multe a parenti

«Falsa rappresentazione della realtà», direttore de La Voce condannato a risarcire l'ex prefetto

Tribunale di Taranto Tribunale di Taranto | © La Voce di Manduria

Il Tribunale civile di Taranto, giudice onorario Antonio Taurino, ha accolto parzialmente la richiesta di risarcimento danni avanzata dal prefetto in pensione, Vittorio Saladino, commissario straordinario del comune di Manduria, nei confronti del direttore de La Voce di Manduria, Nazareno Dinoi, che è stato condannato a pagare 2.000 euro (la richiesta del danneggiato era di trentamila euro) - e non per "diffamazione aggravata" come erroneamente riportato da qualche giornalista male informato -, per aver riportato in maniera difforme la notizia di un procedimento penale a carico di Saladino che lo ha visto imputato per abuso d’ufficio e poi assolto dal Tribunale di Rimini "perché il fatto non sussiste". A Saladino, allora prefetto di Rimini, era contestato un indebito utilizzo di un dipendente della prefettura e di aver fatto anare senza motivo una multa presa dall'auto della moglie. Accuse poi cadute con l’assoluzione del primo grado di giudizio.

Nel dare notizia di tale procedimento, il giornalista Dinoi aveva erroneamente descritto l’imputazione a carico dell’ex prefetto di Rimini con la seguente contestata frase: «Saladino avrebbe anato senza motivo multe a parenti e amici».

Così, evidentemente, non era.

«Esaminando la richiesta di rinvio a giudizio del Piemme – scrive il giudice Taurino nella sentenza di condanna a Dinoi -, emerge in maniera univoca ed inequivoca che il fatto costitutivo ascritto dalla pubblica accusa a base dell’imputazione per abuso d’ ufficio (a carico dell’ex prefetto, Ndr), non è certo l’aver anato multe a parenti ed amici, quanto l’ aver dichiarato "falsamente" in un ricorso promosso per l’ anamento di una multa comminata alla moglie, di essere stato lui, il Saladino, nella circostanza, ad essere stato l’ effettivo utilizzatore dell’auto per esigenze di servizio, che è fatto del tutto diverso dall’anare multe " a parenti ed amici"».

Scrive ancora nella sentenza il giudice di Taranto.

«Sul punto va sottolineata la profonda differenza che corre tra l’agire per l’anamento di un verbale (quale astratto diritto di difesa che il pubblico funzionario possiede al pari di qualunque altro cittadino che ritenga ingiusta la comminatoria), avvalendosi di false dichiarazioni, e anare multe a "parenti ed amici", fatto dai contenuti fenomenici del tutto diversi oltre che suscettibili di suggestionare ed alterare la percezione dell’immaginario della comunità dei lettori».

Sbagliata era anche, secondo il giudice, la definizione di "parenti" quali ipotetici e quindi di più persone beneficiari del presunto abuso. Anche perché, si spiega, Il legame che lega i coniugi non è di tipo parentale.

Scrive Taurino.

«La tesi, basata sulla rispondenza tra il capo d’ accusa nella parte in cui si riferisce al ricorso per l’anamento della multa di un parente ed il contenuto dell’articolo che avrebbe ascritto l’abusività del contegno in riferimento a parenti (in effetti concetto anche improprio in quanto l’ esatto rapporto intercorrente tra marito e moglie è il coniugio), non convince, in primis perchè è accertato che trattasi di un unico caso (quindi pare distorcere la realtà nel momento in cui si riferisce, seppur implicitamente, ad una pluralità di persone, prospettazione che implica suggestivamente una sorta di "recidiva" del comportamento illecito».

Per tali motivi, rileva il giudice Taurino, la narrazione di cronaca riportata dal direttore della Voce di Manduria, è «da considerarsi ontologicamente non veritiera, in quanto in distonia con i fatti rappresentati nel capo d’ accusa».

Nello stesso errore sono incorsi altri giornalisti di testate anche nazionali e agenzie di stampa da cui Dinoi aveva attinto il presunto capo d’accusa delle «multe anate a parenti amici». Giustificazione non sufficiente per il giudice Taurino ad avvalorare: «l’incolpevolezza dell’autore nell’aver confidato sull’attendibilità della notizia perchè riportata da autorevoli fonti informative di ampia diffusione nazionale (quali l’Ansa, tra le più prestigiose)».

Su questo punto lo stesso giudice fa notare «che inspiegabilmente l’attore, pur legittimato, ha tralasciato ogni azione nei confronti di chi, egualmente, aveva pubblicato la medesima falsa notizia, peraltro preventivamente». L’ex prefetto, insomma, si è sentito leso solo da Dinoi e non da tutti gli altri che prima di lui avevano erroneamente scritto la stessa cosa.

Merita attenzione, infine, la parte della sentenza (che qualche giornalista avrebbe dovuto leggere e non fidarsi solo della solita «velina» passatagli), in cui lo stesso giudice Taurino evidenzia

«che la genesi della vicenda è connessa alla pubblicazione di un fatto vero, costituito dalla proposizione di accusa per reato di abuso di ufficio, che, pare aver di per sé contribuito, in maniera quasi del tutto assorbente rispetto a dettagli accessori non secondari (quali appunto aver attribuito come presupposto d’ accusa un fatto non rispondente al vero), ma di portata mediatica non prevalente, di modo che gran parte del discredito procurato all’ immagine pubblica dell’attore sarebbe attribuibile all’ accusa autonomamente considerata, e solo in quantità marginalmente significativa alla distorsione perpetrata dall’autore (Dinoi, Ndr)».

E ancora questa parte in cui il giudice riconosce la

«logica della difesa convenuta nella parte in cui sminuisce, seppur in via gradata, la portata dell’allarme sociale procurato dall’illecito». E che «a prescindere dalla discrasia in cui è colpevolmente incorso l’ autore, che, peraltro, raccontando i fatti in maniera esaustiva (quantunque con i risultati distorsivi e fuorvianti in parte qua) ha dato contezza dell’intera vicenda ai lettori, consentendo loro l’ esercizio di quello spirito critico che deve contraddistinguere l’ approccio alla lettura delle pubblicazioni di cronaca, che, accidentalmente possono essere connotate da inesattezze, errori o travisamento delle vicende narrate, sino a fare ammenda totale con l’ ultimo degli articoli pubblicati sulla incresciosa vicenda, in cui ha correttamente e compiutamente reso giustizia all’ attore, fornendo il resoconto dell’avvenuta assoluzione dell’imputato».

Secondo il giudice Taurino, il danno comunque c’è stato per un valore quantificato in duemila euro da riconoscere all’ex prefetto Saladino (che ne chiedeva 30.000) e 1.500 euro al suo avvocato.

Il direttore Dinoi ha già dato mandato ai legali che lo hanno assistito nella causa civile, Franz Pesare e Armando Pasanisi, per presentare ricorso alla Corte d’Appello di Taranto.

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2 commenti

  • Lorenzo
    lun 17 febbraio 2020 11:59 rispondi a Lorenzo

    Oggi la censura ha diverse forme di azione e molti bracci che la esercitano. Concordo che in appello si darà giusta valenza all'articolo 'incriminato'.

  • La Francy
    lun 17 febbraio 2020 01:01 rispondi a La Francy

    Ma quale "Falsa rappresentazione della realtà " la notizia venne pubblicata a livello nazionale , a Rimini e Riccione riportarono subito questa notizia , sicuramente in appello verrà ribaltata questa deduzione di " Falsa Rappresentazione della Realta' " Tutto i giornali italiani ne parlarono e guarda caso solo la voce di Manduria è stata trascinata in procura ? Già immagino il vero scenario , quello dietro le quinte , mosso da persone rancorose e malvage , si saranno messi a fare gli scandalizzati e i moralisti all orecchio del commissario per poi spingerlo a procedere contro il direttore del giornale "la Voce di Manduria ", attendo che si tenga l appello e sono sicura che tutto si chiarirà , la stima e il rispetto di tanta gente al direttore Reno Dinoi, dott.Francesca Leo.??????

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