Il pizzo, la droga e il controllo delle società dilettantistiche di calcio ai fini del riciclo di denaro sporco erano alla base degli affari del sodalizio criminale stroncato con il blitz di ieri. Nei documenti dell'inchiesta emerge uno spaccato molto significativo di come i malavitosi operavano e gestivano questi diversi settori.
«Natale è arrivato, i soldi servono a tutti». «Tu lo sai, quando dobbiamo mangiare, dobbiamo mangiare tutti». «Stanno i vagniuni per qualsiasi cosa». Niente minacce per chiedere il pizzo, ma erano sufficienti semplici richieste ai componenti della «Cupola» per far crescere il losco giro d'affari. È questa che gli inquirenti definiscono come la «mafia silente» che non ha bisogno di urlare per imporre il servizio di protezione alle imprese. E gli affari andavano a gonfie vele. I settori presi di mira, almeno quelli emersi nell'inchiesta della Direzione antimafia leccese, erano le sale scommesse e slot machine, aziende agricole e i distributori di carburante.
Secondo l'accusa, il gruppo capeggiato da Giovanni Caniglia e composto dagli indagati Maurizio e Raffaele Malandrino e Pierangelo Internò, imponeva alle vittime il pagamento di un pizzo del 10% dei guadagni derivati dalla gestione dei centri di scommesse on line. Il pizzo sarebbe andato a carico al 50% tra gestore dell'esercizio e il fornitore dei macchinari. Quello ritenuto essere a capo della banda di estortori, Caniglia, non si accontentava del denaro liquido che incassava dalle sue vittime gestori di sale scommesse, ma pensava anche a lucrare sui contributi previdenziali e alla futura pensione. E' singolare la vicenda portata alla luce dagli investigatori della Questura ionica, relativa alla copertura mafiosa imposta ad un imprenditore agricolo di Sava, titolare di un'impresa con sede a Manduria, dal quale l'indagato, invece del denaro contante, avrebbe ottenuto un falso rapporto di lavoro per un totale di cento giornate lavorative denunciate all'Inps nel periodo gennaio dicembre 2019, ottenendo così, scrive il gip dell'ordinanza di custodia, «un ingiusto profitto con altrui danno pari alla indennità di disoccupazione a lui non dovuta». Sempre lo stesso gruppo malavitoso, rilevano gli inquirenti, amava rifornirsi di carburante da una stazione di servizio di Manduria, naturalmente senza pagare il servizio, ma facendo mettere «in conto» le somme che passavano come compenso per la protezione. Sempre secondo gli inquirenti, i guadagni del ricco mercato della droga, altro genere di affari della «cupola», veniva riciclato nel settore del calcio amatoriale e dilettantistico.
A capo di questo ci sarebbe Walter Modeo, ritenuto boss emergente del sodalizio criminale aderente alla sacra corona unita, con la complicità del presidente della società Manduria calcio, Elio Palmisano (entrambi arrestati ieri). Alleato in questo giro particolare sarebbe anche un noto pregiudicato di Sava, Giovanni Battista Bernardi, già condannato per reati associativi. Alcune intercettazioni avrebbero dimostrato il controllo da parte di Modeo della società sportiva «Manduria Calcio» presieduta da Palmisano. «Modeo e Palmisano - si legge nell'ordinanza del gip - stabiliscono di implementare i loro affari riciclando il denaro illecito del mercato della droga investendolo col reimpiego di denaro nella stessa società».
N.Din.
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