
Due imprenditori manduriani sono entrati nel processo che vede come imputato principale un magistrato della Procura della Repubblica di Trani famoso per essere stato in pole positionper ricoprire la poltrona di capo dell’Ufficio legislativo del ministero della Giustizia su proposta del grillino Alfonso Bonafede e già consulente della commissione bicamerale banche, incarico che ha ricoperto da gennaio scorso fino a quando è rientrato in ruolo come pm a Bari.
La Procura di Lecce, competente nelle imputazioni a carico dei magistrati del distretto di Trani, ha chiesto il processo per Ruggiero con l’accusa di tentata violenza privata, in concorso con il suo collega Alessandro Pesce.
Vittime dei due inquirenti, titolari di un’inchiesta su presunte tangenti per pubbliche forniture, sarebbero il legale rappresentante della ditta manduriana, Italtraff, Roberto Scarcella, e l’amministratore di fatto della stessa società, Antonio Marzo.
Il 12 novembre prossimo i due magistrati compariranno sul banco degli imputati, davanti al giudice della prima sezione penale del Tribunale di Lecce, perché, secondo l’accusa sostenuta dal pm Roberta Licci, «con abuso di poteri e con violazione dei doveri inerenti la loro qualità di pubblici ministeri” avrebbero posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere, con modalità intimidatorie e violenze verbali”, i due imprenditori manduriani «a dichiarare di aver pagato, o comunque di essere a conoscenza del pagamento di tangenti, in favore di Antonio Modugno, comandante della Polizia municipale di Trani, in relazione a un appalto per la fornitura al Comune di apparecchiature elettroniche per la rilevazione di infrazioni al codice della strada (Fotored, ndr), commercializzate dalla Italtraff srl». In pratica, Ruggiero e Pesce – secondo l’accusa sostenuta dalla Procura leccese avrebbero minacciato i testimoni di sbatterli in galera se non avessero confermato di essere stati costretti a pagare le mazzette al comandante Modugno.
I fatti per i quali si è arrivati al processo, risalgono al 5 ottobre del 2015 quando i due manduriani furono convocati nella procura di Trani dove furono tenuti sotto torchio per circa due ore dai due pubblici ministeri. In quella occasione i due magistrati avrebbero usato pressioni sui due imprenditori, al fine, secondo l’accusa, di fargli ammettere di aver pagato mazzette al comandante dei vigili.
Pur di dimostrare la sua tesi (per la quale evidentemente non aveva prove sufficienti), il pubblico ministero avrebbe provato, insieme al collega Alessandro Pesce, senza riuscire nell’intento, a estorcere una confessione ai testimoni minacciandoli di marcire in galera o di coinvolgere nelle indagini i rispettivi familiari. Non si sono fermati nemmeno quando uno di loro ha detto di avere un problema cardiaco e un altro, sotto pressione, ha paventato l’ipotesi del suicidio.
Tra le tantissime pagine della trascrizione di quell’interrogatorio, spiccano quelle dove è riportato un passaggio importante. Di fronte a questo fuoco incrociato, l’imprenditore Marzo, all’epoca ottantenne,si rivolge così ai magistrati che vogliono fargli ammettere il reato: «Ma com’è? A 80 anni uno fa andare in galera una persona? E senza che sia vero? Ma come ragioniamo? Giudice mi dispiace, no. Io non posso fare come chiedete. State facendo pressione. Ma io non mi piglio la responsabilità di rovinare una persona se non è vero che gli ho dato... l’azienda mia posso rovinarla. Io sono una persona corretta». Alla fine, esausto, Marzo disse: «Fermiamoci, mettetemi le manette». Ruggiero lo fredda: «Le manette adesso è una cosa che lei si aspetta. Le manette le avrà quando non se l’aspetta».
N.D.
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