
A sette anni dalle manifestazioni di protesta contro la costruzione del depuratore consortile Manduria-Sava, sono arrivati i provvedimenti giudiziari: il Tribunale di Taranto ha emesso 31 decreti penali di condanna a carico di cittadini di Manduria e Avetrana, tutti riconosciuti colpevoli del reato di violenza privata in concorso per aver impedito con la forza l’avvio dei lavori nell’estate del 2017.
I fatti risalgono agli 8, 27 marzo e 19 giugno di quell’anno, quando gruppi di attivisti, ambientalisti, residenti e famiglie con bambini bloccarono l’accesso al cantiere dell’impianto idrico in contrada Urmo-Belsito, nella marina di Manduria, opponendosi al transito dei camion e dei macchinari della ditta esecutrice, la Putignano srl. Gli operai furono ostacolati da veri e propri "scudi umani", mentre le forze dell’ordine, presenti in massa per garantire l’ordine pubblico, identificarono e denunciarono i manifestanti.
L’opera, entrata in funzione nel settembre 2024 ma ancora priva di inaugurazione ufficiale, è stata al centro per anni di forti tensioni sociali e scontri tra cittadini e istituzioni.
Tra i destinatari del decreto di condanna, spiccano Francesco Di Lauro, noto avvocato ambientalista, già parte civile per conto del Wwf Italia nel processo “Ambiente Svenduto” sui disastri ambientali dell’ex Ilva, e Alessandro Scarciglia, all’epoca dei fatti vicesindaco di Avetrana. Entrambi si erano già esposti pubblicamente contro l’impianto anche in altre occasioni.
Il giudice ha stabilito per ciascun imputato una multa di 1.500 euro, con esecuzione sospesa per cinque anni, fatta eccezione per un solo manifestante che, non avendo ancora presentato opposizione, dovrà procedere al pagamento o agire per vie legali.
L’avvocato Di Lauro ha già dato incarico al collega Armando Pasanisi per l’opposizione al decreto. «Faremo opposizione e chiederò che il processo non venga archiviato per prescrizione», ha dichiarato, rivendicando la legittimità della protesta e l’intenzione di affrontare l’iter giudiziario.
In quelle giornate del 2017, rimaste nella memoria collettiva come simbolo della mobilitazione popolare contro l’opera, si distinsero soprattutto le “mamme coraggio”, molte delle quali oggi figurano nell’elenco dei condannati. Con i propri figli, anche piccoli, si schierarono fisicamente sulla strada per bloccare l’avanzata dei mezzi, diventando protagoniste di una delle più forti contestazioni ambientali vissute nel territorio jonico negli ultimi anni.
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1 commento
Lorenzo Libertà per la Marina
sab 14 giugno 07:52 rispondi a Lorenzo Libertà per la MarinaÈ questa " la scure" che in futuro farà da deterrente contro chi protesta. Per alcuni la protesta come dovrebbe sancire la Costituzione, deve rimanere nel * recinto " dei soli comunicati stampa e bisogna stare attenti a come si scrivono. Evviva la libertà di espressione e manifestazione 🤔 Poi non lamentiamoci se gli organismi mondiali mettono l' Italia tra i paesi meno liberi di esprimersi nel mondo 😜 Opinioni