
Dopo tanti anni di relativo silenzio, l’ex boss manduriano della sacra corona unita, Massimo Cinieri, rischio un processo per un delitto commesso ben 33 anni fa. Il 55enne che dal 2001 è sottoposto ad un programma di protezione riservato ai pentiti di mafia, deve rispondere dell’uccisione di un imprenditore di San Giorgio Ionico, un delitto datato, avvenuto nel 1989, ma imprescrivibile. Per questo la pubblica accusa ha chiesto il rinvio a giudizio per Cinieri detto «Massimino molletta».
Il 19 gennaio prossimo, nell’aula del giudice delle udienze preliminari del tribunale di Lecce, echeggeranno i rumori delle pistolettate e prenderanno vita le ombre dei delitti di mafia che tra il 1989 e il 1991 hanno insanguinato la città di Taranto e la sua provincia nella faida tra clan rivali che contò 160 morti ammazzati. Al quarto piano del Palazzo di giustizia leccese, la giudice Giulia Proto riaprirà gli atti su un delitto avvenuto ben 33 anni fa. Alla sbarra ci sarà uno dei protagonisti di quella guerra spietata: il manduriano Massimo Cinieri, detto «Massimino molletta», personaggio di spicco della sacra corona unita, tra i primi collaboratori di giustizia dell’epoca le cui dichiarazioni diedero una spallata alla malavita organizzata di tutto il nord Salento e della stessa Taranto, consentendo agli inquirenti di individuare i responsabili di molti assassini rimasti sino ad allora impuniti. Per uno di questi ora il 55enne pentito rischia il processo a più di 33 anni dalla morte della vittima, l’imprenditore di San Giorgio Ionico, Gaetano Fina, giustiziato l’11 luglio del 1989 nel suo comune di residenza.
Difeso dal suo avvocato di fiducia Giuseppe Bucciante del foro di Roma, Cinieri, che dal 2001 gode di un programma di protezione in una località segreta, deve rispondere di concorso in omicidio aggravato da futili motivi, reati per i quali rischia di essere processato per un delitto che ha già confessato all’epoca del suo pentimento. Un’apparente incongruenza dal punto di vista giudiziario che troveranno però l’accordo dei famigliari della vittima, la moglie e i due figli dell’impresario ucciso che figurano parte lesa nel procedimento in corso. A chiedere il processo per Cinieri, è stato il procuratore aggiunto della Dda di Lecce, Guglielmo Cataldi, lo stesso che nel 2001 raccolse le sue prime dichiarazioni di corresponsabilità tra cui l’omicidio di Fina.
La pubblica accusa ha depositato agli atti tre verbali di interrogatorio del pentito datati gennaio, giugno e settembre del 2001 e l’informativa della sezione anticrimine del Ros carabinieri di Lecce sui riscontri alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia.
Dalle risultanze investigative di allora e dalle stesse ammissioni di Cinieri, emergeva l’interesse della criminalità per gli affari legati agli appalti con le pubbliche amministrazioni e a quanto pare, fu proprio il controllo su alcuni lavori in quell’ambito il movente del delitto Fina, titolare di una ditta di scavi e movimento terra, che avrebbe pagato con la vita l’aver messo le mani su alcuni appalti che interessavano ad amici del clan dominante su quel territorio di San Giorgio Ionico.
Dalla ricostruzione del delitto, fatta dai carabinieri della compagnia di Martina Franca lo stesso giorno in cui fu commesso, viene fuori la seguente scena. Poco dopo le tredici dell’11 luglio del 1989, in una strada in pieno centro urbano di San Giorgio Ionico, una Fiat Uno di colore blu con a bordo due persone si avvicinò all’auto guidata dall’imprenditore Fina. Uno dei due killer scese dalla macchina e freddò la vittima esplodendogli contro quattro colpi di pistola calibro 38 a canna lunga, poi salì sull’auto che si allontanò in direzione Monteiasi. Alla scena assistettero tre persone che dopo l’interrogatorio furono arrestati per favoreggiamento personale. Secondo gli inquirenti non raccontarono la verità.
In tutti e tre i verbali di confessione, «Molletta» riconobbe la sua responsabilità e quella di chi lo accompagnava per quel delitto e alla domanda del pubblico ministero Cataldi sul motivo, Cinieri rispose: «per dei problemi per degli appalti» che avrebbero interessato imprese vicine alla malavita.
La prima conferma sull’appartenenza di Cinieri alla sacra corona unita con il ruolo di «luogotenente» per la zona di Manduria, Sava ed altri centri della fascia orientale di Taranto, risale al 5 giugno del 1995 quando i carabinieri di Francavilla Fontana vennero in possesso di una «sfoglia» (pizzino) che autorizzava il destinatario a «farsi un movimento di Santa» (rito di affiliazione alla scu), inserendo tra i mittenti i nomi di Pino Rogoli, Massimo Cinieri, Massimo Pasimeni e Antonio Vitale, il primo fondatore e gli altri capibastone della quarta mafia.
Nazareno Dinoi
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1 commento
Giancarlo
sab 11 marzo 2023 08:01 rispondi a GiancarloIo credo che il motivo per cui "il Sistema" idolatra tanto i giudici Falcone e Borsellino, non sia per le loro pur meritorie azioni, ma per la creazione di questo "reimpiego" sicuro e spesso remunerato, dei boss e delinquenti di vario livello (normalmente alto), come collaboratori di giustizia. Se invece passassero leggi che consentono di far parlare questi criminali, usando gli stessi metodi che loro usano con le vittime, ci sarebbero notevoli miglioramenti della spesa pubblica e, soprattutto, della nostra sicurezza.