
Per due volte di seguito la lapide di Antonio Ferrara, il giovane manduriano vittima di un incidente stradale in cui era trasportato, è stata profanata. A distanza di due giorni, degli sconosciuti hanno portato via il palloncino commemorativo del suo diciannovesimo anno dalla nascita che i suoi genitori avevano deposto sulla sepoltura a terra con la scritta «ti amiamo... mamma e papà». Ieri, oltre a far sparire per la seconda volta l’altro pallone che i parenti avevano pazientemente riportato, gli autori dell’inqualificabile gesto hanno lasciato un segnale che fa rabbrividire: il nastro rosso con cui il pallone era stato assicurato ad un vaso situato sul marmo, è stato legato stretto attorno al collo della statua che riproduce il povero Antonio, promessa del calcio, mentre gioca a pallone. Un gesto inquietante dal significato sinistro che lascia senza parole. In casa Ferrara, dove la vita non è già più la stessa da quella terribile notte quando qualcuno portò la notizia dell’incidente e del ricovero all’ospedale di Brindisi in cui il non ancora diciassettenne visse per pochi giorni, questi ultimi fatti stanno creando sconforto e rabbia. Su chi possa volere un dolore simile non è possibile immaginarlo.
Il terribile episodio, di una crudeltà unica, è l’ultimo di una lunga serie di eventi che si stanno verificando nel cimitero di Manduria dove non passa giorno in cui non venga denunciato il furto di qualcosa, dai fiori alle piante sino agli arredi funerari. Con il gesto del nastro attorno al collo della statua di Antonio, però, si è passato il limite e sarebbe davvero ora che le istituzioni a tutti i livelli prendessero provvedimenti seri.
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