Domenica, 11 Maggio 2025

Cronaca

Inchiesta ancora aperta

Omicidio del cavalcavia, i tre indagati chiedono di parlare con il magistrato

Il ponte sulla Bradanico Salentina Il ponte sulla Bradanico Salentina

I tre manduriani accusati dell’omicidio di Natale Naser Bathijari, il 21enne leccese di etnia rom ucciso a Manduria nella notte tra il 22 e il 23 febbraio e gettato nella scarpata da un viadotto della Bradanico Salentina, hanno deciso di parlare per chiarire la propria posizione. Vincenzo Antonio D’Amicis di 20 anni e i due 23enni Domenico Palma D’Oria e Simone Dinoi, saranno sottoposti ad un interrogatorio dopo che nell’udienza di convalida dell’arresto si erano avvalsi della facoltà di non rispondere alle domande del magistrato.

I tre indagati saranno interrogati in carcere dal pubblico ministero della Procura antimafia che conduce l’indagine, il sostituto Milto Stefano De Nozza.  Lunedì prossimo toccherà a Dinoi che è rinchiuso nel carcere di Melfi, poi sarà la volta degli altri due, D’Amicis e D’Oria, detenuti rispettivamente a Benevento e a Santa Maria Capua Vetere. Ad assisterli saranno i loro avvocati difensori di fiducia, Franz Pesare e Armando Pasanisi.

I tre devono rispondere di omicidio volontario e tentata soppressione di cadavere con metodo mafioso. Secondo la ricostruzione fatta dal pubblico ministero De Nozza, i presunti assassini al culmine di una lite avvenuta in un pub del centro storico di Manduria, avrebbero aggredito e ferito Naser Bathijari. Dopo lo avrebbero caricato nella macchina di uno dei tre indagati portandolo in un luogo alla periferia della città dove sarebbe avvenuta un’altra brutale aggressione con calci e pugni e con l’impiego di un colpetto. Ferito mortalmente, il ventunenne leccese sarebbe infine stato gettato dalla scarpata del cavalcavia. I due ventitreenni, sempre secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti, sarebbero tornati sul luogo del delitto intenzionati a bruciare il corpo con la benzina probabilmente per cancellare le loro tracce. Intento non riuscito perché al buio non lo avrebbero trovato pensando così di averlo solo tramortito e che ripresosi il giovane si fosse allontanato. In effetti la vittima nel rotolare dalla scarpata era rimasta impigliata dietro ad un grosso cespuglio che lo nascondeva alla vista.

Tutto sarebbe nato dal mancato pagamento di una fornitura di cocaina che il ventunenne rom era andato a riscuotere per conto di un suo fratello maggiore ristretto ai domiciliari. A portare subito gli investigatori della polizia sulle tracce dei tre indagati, era stata la cimice piazzata sull’auto utilizzata per trasportare il leccese già ferito sul ponte dove sarebbe stato ammazzato.  

La microspia (i tre amici erano già sotto indagine per il traffico di droga che correva tra Lecce e Manduria), aveva registrato tutte le fasi e i dialoghi dei quattro protagonisti di quella terribile notte di sangue. «Il granitico quadro indiziario – si legge nell’ordinanza che disponeva la misura cautelare per i tre indagati -, emerge in prima battuta dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali il cui chiaro contenuto ha consentito di ricostruire nel dettaglio lo svolgimento della vicenda criminosa sin dalla fornitura di 100 grammi di cocaina da Suad Bathijari (fratello della vittima, ndr) a D’Amicis e Dinoi fino al tragico epilogo del tentativo di riscossione del credito servendosi del fratello Natale Naser, massacrato dal D’Amicis e dai due coindagati». 

Intanto le indagini coordinate dalla Procura antimafia leccese non sono terminate. Mancherebbero all’appello la relazione dell’esame autoptico e quella sulla Fiat 500 con la quale Naser Bathijari era arrivato a Manduria in compagnia di due ragazze che nei piani, poi falliti, dei tre manduriani indagati, avrebbero dovuto fare la stessa fine del loro amico. 

Nazareno Dinoi

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