“Mia madre mi ha detto che a volte urlo durante la notte”. È elettrizzata e bisognosa di farsi ascoltare, Natasha, infermiera che a Borodyanka a 63 chilometri da Kiev in Ucraina, venerdì scorso è fuggita con sua madre e suo fratello adolescente verso Manduria. Un viaggio lunghissimo fatto di paure e di abbandoni attraverso tre Paesi diversi: Ucraina, Polonia e Puglia. Lei ha 24 anni e parla abbastanza bene l’italiano perché è nella città messapica che ha conosciuto la sua seconda famiglia, Giuseppe e Maria Antonietta che da bambina l’hanno accolta per diversi anni con il progetto solidale Černobyl'. Dopo nove anni torna a Manduria, con una valigia vuota e una storia di guerra da raccontare.
“A casa a Borodyanka, ho visto dalla finestra un aereo militare russo ed era così vicino che mi sembrava di toccarlo. Ho avuto paura perché pensavo che la nostra casa, forse, sarebbe stata la prossima sotto le bombe russe. Lì ho deciso che dovevamo scappare”. E’ una delle prime cose che ci racconta Natasha seduta a tavola, intrepida, forse per suggellare la sua esperienza di guerra che l’ha profondamente turbata. “Ho paura dell’aviazione adesso”, ci dice, mostrandoci delle fotografie dei quartieri distrutti vicino la sua abitazione. La città di Boroodyanka, infatti, oltre ad essere un sobborgo di Kiev è stato fin da subito bersaglio dei russi per la presenza di un aeroporto militare.
“Avevo sentito da alcuni miei amici che i soldati russi sparano per strada anche ai civili”, ma dopo aver trovato una scorciatoia sicura, Natasha ci racconta che senza valigie e preavviso e convincendo frettolosamente madre e fratello che non volevano lasciare la propria casa, è riescita a fuggire prima in automobile e, dopo un imprevisto, con un’altra famiglia in un piccolo pullmino verso Leopoli. Il padre e il nonno hanno deciso invece di restare. “Non sono sul fronte e non combattono, sono chiusi in casa senza acqua, gas e luce”, dice Natasha che da una settimana non ha loro notizie, ma sa che stanno bene grazie ad alcuni vicini con cui è riuscita a comunicare. Il suo viaggio, con la madre Tania e il fratello Nicola, è stato una vera fuga con il cuore in gola e l’arrivo a Leopoli non placa le loro preoccupazioni. “Quando siamo arrivati – dice la ragazza -, ci hanno accolto dei volontari dandoci viveri e vestiti, ma abbiamo sentito ancora altri bombardamenti”. Così stremati, dopo un paio di settimane la famiglia ha deciso di ripartire per Varsavia. Un altro viaggio lungo dodici ore che si conclude co un aereo verso Bari trovando finalmente l’accoglienza e la pace della famiglia che a Manduria li ha accolti.
In questa nuova casa manduriana c’è un’atmosfera confortevole e famigliare, ci si scambiano soprattutto sorrisi e si gesticola perché Natasha è come una figlia, ma la madre e il fratello non conoscono l’italiano. Il russo però è la seconda lingua per la famiglia ucraina. Natasha infatti ci spiega che tra di loro parlano e continuano a parlare anche russo, perfino con il suo compagno rimasto a Kiev, nonostante la guerra. “Molte mie amiche hanno deciso di smettere di parlare russo e chiudere completamente ogni rapporto con amicizie russe. Questa non è però la mia scelta”, ci spiega la ragazza mentre ci racconta che tramite la VPN, la rete privata virtuale, è rimasta in contatto con alcuni suoi amici di Mosca e SanPietroBurgo. “Non so come finirà questa guerra, io voglio solo che non ci siano più spari e bombardamenti e voglio tornare nella mia terra con i miei cari”. Sul sito www.lavocedimanduria.it la video intervista con Natasha e la famiglia manduriana che la ospita.
Marzia Baldari
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