
A distanza di dodici anni dalla tragedia che costò la vita al giovane marinaio Alessandro Nasta, 29 anni, originario di Brindisi, la Corte d’Appello di Roma ha confermato le quattro condanne già inflitte in primo grado dal Tribunale di Civitavecchia nel maggio 2022. Il nocchiero perse la vita il 24 maggio 2012, precipitando da un’altezza di 54 metri mentre, durante un’esercitazione, era impegnato nella manovra di chiusura delle vele sull’Amerigo Vespucci, al largo dell’Argentario.
Il processo d'appello ha ribadito le responsabilità dei vertici della Marina Militare Italiana, riconoscendo l'omicidio colposo in concorso per violazione delle norme di sicurezza sul lavoro. Le pene, tutte sospese, sono di un anno e dieci mesi per Domenico La Faia e Giuseppe De Giorgi, rispettivamente ex comandanti della nave scuola, e di un anno e due mesi per gli ammiragli Bruno Branciforte e Luigi Binelli Mantelli.
Le accuse mosse dal sostituto procuratore generale hanno retto in appello: mancata redazione dei documenti di valutazione dei rischi, assenza di dispositivi di protezione individuale, inosservanza delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro – in particolare per attività in quota – e carente formazione del personale. In particolare, è stato contestato a De Giorgi, allora comandante in capo della squadra navale e successivamente Capo di Stato Maggiore, di non aver adeguato le procedure alle disposizioni normative del Testo Unico sulla Sicurezza (TULS 2008) e del DPR 2010.
Per La Faia, l’accusa ha sottolineato la mancata valutazione dei rischi e l’aver affidato un incarico pericoloso a Nasta, nonostante avesse terminato il suo turno di lavoro, senza fornirgli l’equipaggiamento necessario per operazioni ad alto rischio come la sistemazione delle vele.
La famiglia di Alessandro Nasta – la madre Marisa Toraldo, il padre Pietro e la sorella Federica – ha accolto con sollievo la conferma delle condanne. «Siamo soddisfatti dell’esito del processo – ha commentato l’avvocato Massimiliano Gabrieli, legale dei familiari –. È stato riconosciuto, ancora una volta, che allora l’Amerigo Vespucci, pur essendo considerata la nave più bella del mondo, non era una nave sicura. La vita di Alessandro non potrà essere restituita, ma la sua morte ha avuto un peso: ha portato a rivedere radicalmente le procedure di sicurezza a bordo, facendo della Vespucci una nave finalmente all’altezza degli standard di protezione richiesti».
Ora si attende il deposito delle motivazioni della sentenza d’appello, che potrà eventualmente essere impugnata in Cassazione. La battaglia giudiziaria non è ancora conclusa, ma la sentenza conferma un principio fondamentale: la sicurezza sul lavoro non può essere sacrificata, neppure a bordo di una nave-simbolo della Marina Militare Italiana.
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