Per l’accusa, il «cicchetto» era un termine convenzionale per indicare la sostanza stupefacente. Per questo un manduriano, D.J., all’epoca dei fatti, nel 2013, ancora minorenne, era stato condannato in primo e secondo grado per i reati di detenzione e spaccio di droga. Dopo sette anni, difeso dall’avvocato Davide Parlatano, il giovane è stato definitivamente assolto dalla Corte d’appello di Lecce a cui i giudici della Cassazione avevano rinviato il fascicolo per un nuovo giudizio accogliendo il ricorso presentato dall’imputato.
L’accusa basava la richiesta di condanna su intercettazioni telefoniche dove si deduceva che il minore avrebbe fatto parte di un’organizzazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti. Per questo il Tribunale di minori lo condanno a otto mesi di reclusione. La Corte di Appello di Taranto confermò la sentenza che fu quindi impugnata in Cassazione che anò la sentenza di condanna rinviando alla Corte di Appello di Lecce per un nuovo processo.
I giudici leccesi, nonostante la richiesta di condanna formulata dal Procuratore generale, ha assolto D.J. dal reato contestato per non avere commesso il fatto.
Accolta, quindi, la tesi difensiva dell’avvocato Parlatano sullo scarso valore delle intercettazioni che, secondo l’accusa, erano sufficienti per provare la responsabilità penale del minore. Le intercettazioni, secondo la difesa, potevano aprirsi a diverse interpretazioni. Dello stesso parere la Corte di Appello che ha pronunciato sentenza di assoluzione.
Il tutto parte dalle indagini per un delitto di rapina e uno di sequestro di persona, reati entrambi commessi a Manduria nel 2013. Nel corso delle indagini furono messe sotto controllo le utenze telefoniche di qualche soggetto che poteva avere partecipato ai delitti. Dallo studio delle intercettazioni si veniva a conoscenza di una fiorente attività di spaccio che coinvolgeva, secondo i carabinieri, tanti soggetti, alcuni minorenni, come D.J. che non è stato mai intercettato ma tirato in ballo da altri. In una conversazione intercettata tra due sospettati, uno dei due diceva all’altro che il minorenne avrebbe detto di portare un paio di "cicchetti" e poi si sarebbero messi a ridere. In un’altra intercettazione un interlocutore dice ad un altro di passare a casa di D.J. e l’altro risponde negativamente affermando di tenerla lui.
Secondo l’accusa, con il termine "cicchetti" si sarebbe fatto riferimento alla cessione di due dosi o pezzi di stupefacente dato che, sempre secondo l’accusa, il "cicchetto" sarebbe il vocabolo convenzionale per indicare la droga perchè uno degli interlocutori aveva ironizzato proprio su quel termine. L’interlocutore della telefonata intercettata rise e da quella risata gli inquirenti arrivarono alla conclusione che i cicchetti altro non erano che le dosi di sostanza stupefacente.
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