
Colpo di scena nel processo nato dall’arresto del pregiudicato manduriano Daniele D’Amore di 60 anni, ritenuto appartenere ad una frangia della sacra corona unita e dei suoi presunti complici: la Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha annullato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Taranto il 15 marzo 2024. I giudici d’appello, presieduti dal giudice Ugo Bassi, hanno dichiarato la nullità della condanna inflitta a D’Amore per i reati di evasione e false generalità, stabilendo che l’imputato fu condannato per un fatto giuridicamente diverso rispetto a quello per cui era stato formalmente accusato. Gli atti sono stati quindi trasmessi nuovamente al giudice di primo grado per un nuovo processo.
Nel medesimo provvedimento, la Corte ha inoltre assolto con formula piena, “perché il fatto non sussiste”, Daniele Pesare di 37 anni, Benedetto Farina di 37 anni e Benito Cinieri di 41 anni, precedentemente condannati per favoreggiamento personale. Secondo l’accusa, i tre avrebbero aiutato D’Amore a sottrarsi all’esecuzione di una condanna, ma la Corte ha ritenuto infondata la ricostruzione accusatoria, cancellando ogni addebito a loro carico. D’amore e Pesare sono stati difesi dall’avvocato Antonio Liagi, Cinieri e Farina dall’avvocato Davide Parlatano e Farina dagli avvocati Fabio Falco e Parlatano
Il ribaltamento della sentenza di primo grado segna un punto di svolta importante nel lungo procedimento che aveva visto coinvolte undici persone, accusate a vario titolo di favoreggiamento, evasione e dichiarazioni mendaci, in relazione alla latitanza di D’Amore.
La sentenza di primo grado
Nel marzo 2024, il Tribunale di Taranto aveva riconosciuto colpevoli Daniele Pesare, Benedetto Farina, Benito Cinieri e lo stesso Daniele D’Amore. Pesare era stato condannato a 10 mesi di reclusione e 700 euro di multa, Farina a 1 anno, 1 mese e 15 giorni con 900 euro di multa, mentre Cinieri aveva ricevuto 1 anno e 3 mesi di reclusione e 1.000 euro di multa. Per D’Amore, condannato per evasione e false generalità fornite alla Polizia Stradale di Bari, la pena era stata di 1 anno e 4 mesi di reclusione. Il giudice aveva escluso per lui la sospensione condizionale della pena, vista la gravità dei precedenti. Nel corso dello stesso processo erano cadute le accuse per altri cinque imputati.
I fatti all’origine del processo
Tutto ha avuto inizio nel gennaio 2017, quando la polizia di Manduria arrestò Daniele D’Amore, 51 anni, originario di Torre Santa Susanna e ritenuto vicino alla Sacra Corona Unita, in particolare a una frangia del “clan Bruno”. D’Amore era stato precedentemente condannato a 14 anni e 6 mesi di reclusione nell’ambito dell’operazione antimafia “Scacco alla Torre”, per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga. Dopo essersi sottratto agli arresti domiciliari nell’agosto 2016, era diventato latitante.
Nella notte del 28 gennaio 2017, gli agenti del commissariato di polizia di Manduria intercettarono il fuggitivo a bordo di una Ford Focus, guidata da Giuseppe Iunco, 40enne manduriano, poi arrestato per procurata inosservanza di pena. Poco prima, in assetto da staffetta, un’altra vettura – una Lancia Delta – con tre complici originari tutti di Manduria, precedeva il veicolo con a bordo D’Amore. Tutti furono fermati e portati in Questura: D’Amore venne trovato in possesso di una carta d’identità falsa valida per l’espatrio.
Prossimi sviluppi
Ora, con l’annullamento della sentenza e la disposizione di un nuovo giudizio nei confronti di D’Amore, il caso si riapre. La Corte d’Appello ha evidenziato un vizio giuridico nella formulazione dell’imputazione, tale da compromettere la correttezza dell’intero processo a suo carico. Si attende quindi la fissazione di una nuova udienza dinanzi al Tribunale di Taranto, che dovrà riesaminare il caso sulla base delle indicazioni fornite dai giudici d’appello.
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