Per i cittadini di Pesaro sarà semplicemente una quercia, per Francesco Miccoli, di Fragagnano, quell’albero è il simbolo di una battaglia solitaria che conduce da 25 anni per far luce sulla morte del figlio Lorenzo, militare di Leva, perso a venti anni il 2 marzo del 1995 nell’ospedale civile di quella città. Per il certificato di morte, il decesso è avvenuto per una leucemia fulminante. Per l’ex imprenditore edile di Fragagnano che da quel giorno non si dà pace, ad uccidere il suo primogenito è stato un mix di farmaci letali somministratigli per un uso sperimentale o per oscuri intrighi tra medici.
Nei giorni scorsi Francesco si è recato a Pesaro su invito del sindaco di quella città, Matteo Ricci, che gli ha organizzato la cerimonia di messa a dimora di una targa ricordo e una quercia piantata in un’aiuola della stazione ferroviaria. Un luogo simbolo non solo perché il giovanissimo militare di leva arrivava lì in treno dalla sua Fragagnano, ma anche perché si trova vicino al monumento alla Resistenza ed anche al muro con le pietre della memoria. Il viaggio ad Ancona è stato utile a Miccoli per farsi la solita foto davanti al tribunale di Pesaro, sede della Procura della Repubblica, dove campeggia la foto di Falcone e Borsellino. E dove, periodicamente, si presenta per distribuire volantini con la richiesta di riapertura delle indagini sulla morte tragica quanto misteriosa del figlio Lorenzo. Miccoli e i suoi avvocati e periti medico legali da cui si è fatto assistere nei lunghi processi, tutti dall'esito sfavorevole per loro, sono convinti che la recluta del 28simo reggimento Pavia, fu ucciso dalla stessa mano che in quel periodo fece morire altri pazienti del reparto di ematologia, per nove dei quali i tribunali hanno condannato la struttura a risarcire le famiglie. Per il giovane militare di Fragagnano, invece, tutti i gradi di giudizio a cui si è rivolta la sua famiglia, si sono conclusi attribuendo la morte a cause naturali. «Ho giurato sul corpo senza vita di mio figlio che chi lo ha ucciso dovrà pagare e per questo lotterò finché il Signore mi darà la forza», ripete l’anziano genitore, ora sessantaseienne, distrutto nell’anima ed anche socialmente avendo perso lavoro, tanto denaro e salute, la sua e quella di sua moglie affetta da tumore.
Nei volantini che ha distribuito anche davanti all’albero dedicato al figlio, il sessantaseienne di Fragagnano accusa con nome e cognome i vertici ospedalieri del tempo e chiede di accertare la negligenza e imperizia dello staff medico che curò il suo Lorenzo. «Non mi arrenderò mai», ha ribadito Miccoli a chi gli chiedeva conto della protesta. Molti ad Ancora ricordano ancora di quel reparto balzato alle cronache per le numerose morti sospette avvenute nello stesso periodo in cui morì Lorenzo. Una storia oscura con accuse di boicottaggi tra camici bianchi, sospette sperimentazioni clandestine, abuso di farmaci, addirittura di un infermiere suicida alla vigilia della sua testimonianza in aula. L’imputato principale, l’allora primario del reparto, l’ematologo Guido Lucarelli, padre del noto giornalista e autore di gialli, Carlo Lucarelli, lanciò delle accuse nei confronti di qualcuno che volutamente avrebbe iniettato una sostanza letale sui suoi pazienti per gettare discredito sul suo lavoro. «So chi è ma non posso dire il nome perché non ho le prove», aveva dichiarato il professore Lucarelli in aula. Dichiarazioni che non sono servite a quella giustizia che Francesco Miccoli insegue da un quarto di secolo.
Nazareno Dinoi
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