
I reperti archeologici non erano stati trafugati dai tombaroli o sottratti da qualche deposito museale. Quei preziosi manufatti risalenti all’età Messapica con alcuni fossili di era ancora più remota, erano passati di casa in casa da quattro generazioni. Era il piccolo tesoro che un imprenditore manduriano di 67 anni esponeva in casa e per questo è stato indagato e finito sotto processo con l’accusa di furto di beni culturali. Un reato che comporta una pena che va dai due agli otto anni. Nei giorni scorsi, dopo due anni di indagini e di udienze, la giudice del Tribunale di Taranto, Silvia Mauro, ha accolto la tesi difensiva che l’imputato aveva affidato all’avvocato Cosimo Parco, derubricando il reato con quello più lieve di omessa denuncia, assolvendo il sessantasettenne per «tenuità del fatto».
I fatti risalgono al 2018 quando l’ex imprenditore, caduto in disgrazia con le banche, aveva ricevuto a casa la visita dell’ufficiale giudiziario che doveva elencare i beni da sequestrare. All’occhio attento del dipendente del Ministero della giustizia, che in quella occasione era accompagnato dagli agenti di polizia del locale commissariato, non è sfuggito quell’angolo del salone dove era esposto il minuscolo ma prezioso museo: diciotto oggetti in ceramica di epoca Messapica ed altri manufatti di incerta datazione. Il prezioso tesoro è stato catalogato e dichiarato non sequestrabile ai fini del fallimento perché di proprietà dello Stato. Alla procedura per la bancarotta che incombeva sull’imprenditore, si è così aggiunta l’indagine penale della Procura della Repubblica di Taranto condotta dal pubblico ministero Antonio Natale che ha chiesto ed ottenuto il rinvio a giudizio dell’imputato.
La difesa dell’avvocato Parco ha da subito sostenuto che l’imputato non avesse trafugato i reperti ma che gli stessi fossero dei lasciti che lo stesso aveva ricevuto in eredità da una sua trisavola. Quei reperti, tra cui preziosissime trozzelle Messapiche, sarebbero stati rinvenuti oltre un secolo prima da una parente del suo assistito nel corso di scavi effettuati nei pressi di una masseria situata in un territorio interessato da insediamenti Messapici. I reperti erano poi stati tramandati negli anni nella famiglia assumendo dunque un valore affettivo.
Per risalire alla prima proprietaria del tesoro Messapico, l’avvocato ha dovuto ricostruire la linea genealogica dell’imputato dimostrando che i beni, rinvenuti fortuitamente alla fine del 1800, erano stati poi tramandati come cimeli di famiglia sino a giungere in possesso dell’ex imprenditore. È servito infine dimostrare che l’imputato non avesse le conoscenze culturali idonee a comprendere il valore dei reperti detenuti per ottenere l’assoluzione. Dovrà però dire addio al tesoro di famiglia che è stato sequestrato e destinato al pignoramento con l’affidamento dello stesso alla Soprintendenza archeologica che provvederà ad esporlo in qualche teca o in uno dei depositi in attesa di trovare posto in un museo. Salvo appello della Procura, l’ex imprenditore ha evitato il rischio di vedersi condannare penalmente e di dover pagare una cospicua multa all’erario, oltre alle spese processuali. Resta però il rammarico di aver perduto i cimeli della sua trisavola.
Nazareno Dinoi
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1 commento
alberto altamura
mer 5 agosto 2020 05:07 rispondi a alberto altamuraLa vicenda qui illustrata mi porta a fare una breve considerazione. I reperti sequestrati, a mio parere, dovrebbero restare a Manduria che, ritengo, abbia una sede idonea alla loro tutela e valorizzazione ed essendo un importante centro della civiltà messapica. L'idea del decentramento dei beni culturali ed archeologici dovrebbe ormai essersi affermata e la Soprintendenza non deve accentrare tutto nella sede provinciale. Tra l'altro, c'è il rischio che questi reperti vadano a finire nei soliti magazzini o depositi e non siano più fruibili da parte degli studiosi e dei comuni cittadini. Occorre però che la P.A. o i Commissari si facciano parte attiva e presentino un valido progetto.