
Quindici anni sono passati dal giorno in cui Avetrana divenne il centro di una delle vicende più tragiche e mediatiche della cronaca nera italiana: la scomparsa e l’uccisione di Sarah Scazzi. Da allora, molto poco è cambiato. A mutare, in realtà, è soltanto l’età dei protagonisti di quella storia. Sabrina Misseri e la madre Cosima Serrano, condannate all’ergastolo, oggi hanno rispettivamente 37 e 70 anni (all’epoca 22 e 55); Michele Misseri, il marito e padre, dopo aver scontato meno di sette anni degli otto inflitti per occultamento di cadavere, è tornato libero: oggi ha 71 anni, contro i 56 di allora.
La quotidianità, invece, è rimasta quasi immobile. Zio Michele continua a fare ciò che ha sempre fatto: il bracciante agricolo per conto terzi e il piccolo coltivatore per sé. La mattina nei campi con il trattore – non quello «che non partiva» nel pomeriggio del 26 agosto 2010 – e il pomeriggio nel suo orto dietro la villetta di via Grazia Deledda. In questa stagione raccoglie fagiolini che vende ai concittadini a 7 euro al chilo, consegna a domicilio compresa. Tutto il resto, qui, è rimasto memoria e leggenda; altrove, la vicenda è diventata libri, film, serie televisive, documentari e, ad ogni ricorrenza, inesauribile materiale per talk show.
Nessuna novità neppure dal carcere di via Carmelo Magli a Taranto, dove Sabrina e Cosima continuano a scontare la pena, dopo aver visto respinto un anno fa dalla Corte Europea il ricorso contro la condanna. L’ex estetista Sabrina, che aveva iniziato un corso universitario al Dams, ha dovuto interrompere gli studi per mancanza di fondi dedicati alla didattica a distanza.
Le suggestioni di una possibile esumazione del corpo di Sarah, per analizzare residui di Dna sotto le unghie mai esaminati, sono rimaste senza seguito. «Mai preso in considerazione ipotesi di questo genere e non ci sono iniziative in programma», ha liquidato l’avvocato Nicola Marseglia, che insieme al professore Franco Coppi ha difeso Sabrina in tutti i gradi di giudizio fino al ricorso europeo.
Inspiegabile, se si guarda oggi alla vicenda, anche la scelta delle due donne di rinunciare ai permessi premio: una possibilità che ogni detenuto all’ergastolo non ostativo può ottenere dopo dieci anni di reclusione, per periodi fino a 45 giorni l’anno.
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