Domenica, 11 Maggio 2025

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Omicidio di Monteparano, il racconto del fratricida

Omicidio di Monteparano, il racconto del fratricida Omicidio di Monteparano, il racconto del fratricida | © n.c.MONTEPARANO - Sarebbe la richiesta di soldi e l’accusa di un ammanco dalla cassa di famiglia, l’origine della lite tra due fratelli di Monteparano che si è conclusa con la morte di uno dei due. Ad avere la peggio è stato il 22enne M.M., meccanico, incensurato, ferito mortalmente con tre fendenti al petto uno dei quali ha raggiunto il cuore. Ha cinque anni meno di lui, S.M., il fratricida che dopo una breve fuga si è costituito ai carabinieri confessando il delitto. Si è concluso così alle prime luci dell’alba di ieri il drammatico episodio che colpisce le coscienze di un territorio già compromesso da tante piaghe. Tutto è cominciato venerdì alle 20,30 con la corsa verso l’ospedale di un’automobile con a bordo il giovane in fin di vita. A guidare la macchina c’era il padre del ferito che ha fatto appena in tempo a prenderlo in braccio e poggiarlo su una barella del pronto soccorso del San Marco di Grottaglie dove il giovane è spirato. Il resto lo hanno ricostruito i carabinieri. Poco prima, a Monteparano, davanti all’officina dove lavorava la vittima, i due fratelli avevano iniziato una furiosa lite. Il più grande accusava il minore di essersi impossessato di 200 euro. La discussione è poi degenerata e nella mano del diciassettenne è comparso un coltello. Poi la corsa disperata del padre con il figlio morente e la fuga dell’assassino che ha vagato per quasi tutta la notte nelle campagne del paese sino a quando non ha deciso di costituirsi ai carabinieri. Lì, assistito dagli avvocati Giuseppe Cagnetta e Franz Pesare, ha detto di aver perso la testa. Al magistrato per i minorenni, Silvia Nastasia, ha detto di essersi recato dal padre per chiedere 100 euro. Lì, ha raccontato, avrebbe trovato un ambiente ostile non solo da parte del fratello ucciso, ma anche da altri parenti (la cui posizione è al vaglio degli inquirenti). Il reo confesso ha detto di aver preso da una tasca della felpa che indossava un coltello ad uncino (che ha poi gettato nelle campagne, ndr), che non sapeva nemmeno di avere perché l’aveva acquistato un mese prima proprio con quell’indumento messo per la prima volta. «Non volevo ucciderlo, ero furioso, mi ha sempre insultato anche davanti ai miei amici al bar e ieri sera mentre io e lui litigavamo qualcuno mi teneva per le spalle», ha ripetuto in lacrime il minorenne che lunedì mattina sarà interrogato per la conferma dell’arresto. Sullo sfondo del tristissimo episodio, una famiglia divisa e un ambiente evidentemente carico di disagi. I genitori dei ragazzi vivono separatamente. Il giovane morto stava con il padre che ha precedenti penali per reati comuni, mentre il fratricida ed altri due fratelli vivono dalla madre. Ognuno con una vita a sé. Tra i due protagonisti della tragica storia non correva buon sangue. Una vita la loro fatta d’insulti e ripetute discussioni, anche violente e pubbliche. Un amaro epilogo che tocca l’animo di tutti. «Ancora una volta la società civile e religiosa è chiamata in causa su quella che appare in tutta la sua drammaticità l’emergenza educativa», scrive ad esempio l’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro. Ancora più introspettivo è il commento a caldo del comandante provinciale dei carabinieri, colonnello Daniele Sirimarco. «Si fa presto – dice- a creare pregiudizi ma forse è il caso di chiedersi se queste famiglie non sono lasciate sole». Nazareno Dinoi sul Corriere del Mezzogiorno - Corriere della Sera

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