
Non ce l’ha fatta Michele Dinoi, il manduriano di diciotto anni che il 27 settembre scorso fu trovato in condizioni disperate sul pianerottolo dell’abitazione dove viveva con il padre e una sorella. Il giovane che da allora non si era più ripreso, è morto l’altro ieri sera, sabato 24 marzo, in una clinica per la riabilitazione neurologica di Lecce dove era stato trasferito dalla rianimazione dell’ospedale Marianna Giannuzzi di Manduria al termine di un ciclo di cure intensive che non avevano dato risultati. Senza esito anche le indagini condotte dai carabinieri della compagnia di Manduria che da allora cercano di far luce sulle cause che hanno determinato il coma e, sei mesi dopo, la morte del diciottenne il cui corpo è ora a disposizione della magistratura tarantina che, quasi certamente, disporrà l’autopsia. Restano misteriose al momento le circostanze che ridussero in fin di vita il giovane. La sera di quel 27 settembre, intorno alle 23,30, la sorella e il padre che è separato dalla moglie, trovarono Michele apparentemente svenuto sul pianerottolo della propria abitazione a Manduria. All’arrivo del 118, il personale sanitario lo trovò in arresto cardiaco. Le immediate manovre rianimatorie riuscirono a far ripartire il cuore ma non l’attività respiratoria gravemente danneggiata. Intubato, fu trasportato d’urgenza al pronto soccorso ospedaliero dove fu affidato ai rianimatori. Già da quella notte gli specialisti si espressero con una prognosi severa descrivendo un quadro clinico molto compromesso dovuto al troppo tempo trascorso senza ossigeno al cervello.
Su tutto il resto è ancora un mistero. Fu un malore fatale? E per quale malattia sconosciuta ai parenti? Fu vittima di un incidente? Oppure di un’aggressione? Nessuno dei presenti sul luogo dell’evento avrebbe saputo dare spiegazioni valide. I carabinieri della compagnia di Manduria al comando del capitano Sergio Riccardi, su delega del pubblico ministero Lucia Isceri, hanno già raccolto diverse testimonianze di parenti e amici, alcuni dei quali più grandi della vittima. Sul corpo e sul collo del ventenne sarebbero state trovate lesioni di possibile natura violenta, forse una caduta accidentale oppure provocata da sconosciuti. Il primo a vederlo in quelle condizioni avrebbe raccontato di averlo trovato riverso per terra con la testa infilata tra le sbarre di ferro del passamano delle scale che avrebbero procurato l’asfissia.
I primi a non credere all’incidente sono stati gli amici che sin dal primo giorno, nel tam tam dei social, facevano sollevare inquietanti sospetti. Molto eloquente, in proposito, il post pubblicato ieri su Facebook dalla sorella del diciottenne: «Ti prometto che sarai parte di me, ti prometto che da oggi in poi ogni scelta e decisione che farò, la farò per entrambi e ancora di più». E conclude: «Ti prometto che ti farò giustizia».
Nazareno Dinoi su Quotidiano di Taranto
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