Lunedì, 6 Maggio 2024

Cronaca

Era arruolato nell’Esercito Italiano con il grado di luogotenente e dall’inizio della crisi pandemica era stato assegnato dal suo comando all’ospedale militare da campo a Vicenza

Le ultime parole di Ottavio De Fazio: "È ora di volare, di amare sé stessi, dando valore alla vita"

Ottavio De Fazio Ottavio De Fazio | © Facebook

Si chiamava Ottavio De Fazio, teatino di adozione e manduriano di nascita. Sino al 24 aprile scorso, è stato uno degli angeli con la tuta bianca e la maschera sul volto che ha lottato contro il coronavirus. È morto ieri in provincia dell’Aquila per una caduta con la sua Yamaha. Aveva 49 anni, gli ultimi venti vissuti da infermiere con le stellette. Fanno rabbrividire le sue ultime parole affidate ai social poco più di 19 ore prima che un beffardo destino lo uccidesse. «È ora di volare, di amare sé stessi, dando valore alla vita con i nostri pregi e difetti, di avere una vita migliore senza portare rancore, in allegria e benessere. "Appena si potrà"». Quel criptico «appena si potrà», scritto dopo il punto e tra le virgolette, doveva accadere ieri, meno di venti ore dopo quel post che ora suona come un terrificante presagio.

Era arruolato nell’Esercito Italiano con il grado di luogotenente e dall’inizio della crisi pandemica era stato assegnato dal suo comando all’ospedale militare da campo a Vicenza. Un lavoro, quello dell'infermiere, che aveva scelto prima ancora dell’arruolamento e che lo ha portato lontano dalla sua Manduria dove tornava ogni volta che poteva e dove vivono ancora i suoi parenti e tanti amici e conoscenti.

Oltre alla sua professione sanitaria e la mimetica, il 49venne manduriano, sposato e padre di un diciottenne appena compiuti, era innamorato delle moto di grossa cilindrata. Non era un motociclista della domenica, ma un esperto appassionato dei motori su due ruote. Ieri mattina, domenica, è partito da Chieti dove vive la sua famiglia e si è messo in sella alla sua Yamaha per un giro largo nell’aquilano. Giunto sulla statale 5 che collega Raiano a Castelvecchio Subequo, la sua moto nel prendere una curva ha perso l’aderenza dell'asfalto andando a sbattere contro un guardrail. Secondo una prima ricostruzione dei carabinieri, lo sbandamento sarebbe dipeso dallo scivolamento del mezzo sul brecciolino. Il terribile urto contro le barre d’acciaio ha fatto fare al militare un volo di diversi metri. Il corpo esanime è rimasto immobile al centro della strada. A soccorrerlo per primi sono stati alcuni automobilisti ed altri centauri di passaggio che hanno praticato le prime manovre. All’arrivo dell’ambulanze del 118 e dell’eliambulanza, le sue condizioni erano già disperate e a a sono valsi tutti gli sforzi dei sanitari che hanno tentato il tutto per tutto per salvarlo. A niente son serviti la spessa tuta e l’equipaggiamento antinfortunistico che indossava. Secondo il medico che ha redatto il referto, la morte sarebbe sopraggiunta quasi subito dopo la rovinosa caduta.

Restano le commoventi frasi che gli amici sia di Manduria che di Chieti stanno lasciando sul suo profilo Facebook dove il luogotenente trascriveva spesso le sue emozioni. Come quel giorno che per fine missione ha dovuto lasciare l’ospedale militare di Vicenza. «Questa esperienza è giunta al termine. Ho avuto il piacere e l’onore di lavorare con gente meravigliosa ma, ancor di più ho avuto Voi che con il vostro affetto e la vostra premura avete infuso in me forza e coraggio, di giorno in giorno. Da oggi in poi guarderò le cose concrete della vita». Da ieri quella vita non esiste più.

Nazareno Dinoi

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3 commenti

  • Marco
    lun 1 giugno 2020 01:11 rispondi a Marco

    Non sono del mestiere ma forse è il caso che i motociclisti controllino i caschi integrali che hanno una scadenza costruttiva, data dal materiale kevlar deteriorabile col tempo. R.I.P.

  • Domenico
    lun 1 giugno 2020 09:26 rispondi a Domenico

    Un bel messaggio su cui riflettere e con il quale misurarsi. Probabilmente l'esperienza vicentina ha riposizionato la scala dei valori e la modalità di approcciarsi alla società. L'ultima frase mi fa pensare alla speranza, temporalmente alla fine dell'emergenza, più che a un presagio negativo. Peccato non averlo conosciuto!

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