Le azioni ripetute di violenza, psicologica e fisica, subite da Antonio Cosimo Stano, il pensionato manduriano vittima di un branco di bulli, sono configurabili con il reato della tortura. Lo hanno stabilito in via definitiva i giudici della Cassazione che hanno così respinto il ricorso presentato dagli avvocati difensori della «banda degli orfanelli» di Manduria. Sedici imputati, di cui tre maggiorenni, che devono rispondere, a vario titolo, di violazione di domicilio, lesioni personali, percosse, molestie, furto, sequestro di persona e tortura aggravata dalla sopraggiunta morte. Quello della tortura, il più grave, che la difesa sperava di cancellare ricorrendo alla suprema Corte, comporta una pena di trent’anni se è seguita dalla morte della vittima, proprio come sostiene l’accusa.
I giudici romani, pur chiarendo che esiste una nutrita dottrina discordante così come veniva sottolineata dai ricorrenti, hanno preso una decisione «coerente con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, per la quale il divieto di tortura riguarda sia i soggetti pubblici sia i privati». La Cassazione si è espressa anche sul contestato aggettivo della «gravità» se cioè tale qualificazione debba intendersi riferita alle violenze o alle sole minacce. Gli ermellini si sono affidati alla comune esperienza secondo la quale «difficilmente le acute sofferenze e i verificabili traumi sono ricollegabili a violenze non gravi».
Quanto alla pluralità delle condotte, in alternativa al trattamento inumano e degradante, i giudici escludono che singoli atti di violenza integrino una pluralità di condotte. Per il reato, è stato ricordato, occorre che le violenze e le minacce siano realizzate a più riprese o commesse con più condotte messe in atto in un arco temporale abbastanza lungo. In questo quadro rientrano i fatti di Manduria.
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1 commento
GT
dom 1 dicembre 2019 06:30 rispondi a GTMentre per le ragazzine hanno confutato le prove! Ma sappiamo tutti chi sono