Giovedì, 2 Maggio 2024

Attualità

L'intervista al torricellese Massimo Mezzolla, primo pugliese contagiato dal coronavirus

Io, paziente numero uno in Puglia e la rabbia per chi nega ancora la pericolosità del virus

Massimo Mezzolla Massimo Mezzolla | © La Voce di Manduria

Il 25 febbraio del 2020 era un martedì quando la Puglia fu scossa dalla notizia del primo pugliese contagiato dal coronavirus. Massimo Mezzolla, 43 anni, era rientrato da Codogno dove si era recato per far visita a sua madre, ricoverata in una struttura residenziale per anziani, in seguito una delle tante vittime di quel primo cluster italiano del virus. Mezzolla abitava nel minuscolo paese di Torricella, poco più di 4mila abitanti in provincia di Taranto. Quel giorno le autorità sanitarie lo avevano già preso in cura sin dal mattino recandosi al suo domicilio per il tampone molecolare che confermò il coronavirus. L'opinione pubblica fu informata solo nel tardo pomeriggio, quando dall'ospedale Moscati di Taranto, dove era stato ricoverato, filtrò la notizia che avrebbe dato il via all'emergenza pandemica pugliese con effetti e numeri inimmaginabili allora. Oggi Massimo, carpentiere in ferro, dopo aver superato la malattia e gli insulti degli odiatori social che in quei giorni lo hanno letteralmente sommerso di offese e accuse, vorrebbe rappresentare l'anti-negazionismo: «il vero male di questo secolo, ancora più pericoloso del virus stesso», dice.


Primo pugliese che ha contratto il Covid-19, primo ad essere guarito e primo ad aver portato nella sua regione il ceppo di Codogno. Che effetto le fa?
«Naturalmente avrei preferito non rappresentare tutto questo. Ho perso mia madre, ho visto ammalarsi mia moglie e mio fratello e altri miei parenti. Di tutto questo avrei fatto volentieri a meno. Avrei anche evitato tutte le accuse che mi sono vomitate addosso. Le assicuro che non è stato facile».


Di quale colpe è stato accusato?
«Di essere stato uno sprovveduto, di aver portato il virus in casa, di aver cercato di nascondere il contagio; e sono solo le cose che si possono raccontare, perché gli insulti e le accuse preferisco rimuoverle e non darne conto. Io con la coscienza mi sento apposto, ho seguito scrupolosamente quello che mi dicevano i medici e le autorità che ho informato sin da prima di tornare in Puglia. Ho fatto il mio dovere e credo che la stessa cosa abbiano fatto le persone e gli uffici con cui mi sono rapportato in quelle prime ore. Sull'accusa poi di essere stato a Codogno, quando ancora non si sapeva quello che sarebbe accaduto, meglio non replicare: ero andato a trovare la mia mamma che in quel periodo era ospite di mio fratello che abita a 45 chilometri da Codogno. Non ero andato a divertirmi e se mi hanno fatto entrare in quella Rsa è perché a quel tempo si poteva ancora. Infatti l'ultimo giorno che io e mio fratello abbiamo cercato di tornare in quella casa di riposo ci hanno fatti tornare indietro. Ma evidentemente il virus lo avevo già preso».


A distanza di un anno, ha notato dei cambiamenti nei comportamenti della gente nei suoi confronti?
«Fortunatamente no. La gente che mi rispettava prima, lo fa anche oggi. Nei primi giorni delle mie uscite dopo la negatività al virus, notavo un certo timore nell'avvicinarsi ma era comprensibile. Oggi no, la gente non è cambiata con me né con la mia famiglia. Sono tornato a lavorare mettendomi in proprio e non ho problemi da quel punto di vista. Cerco di dare il mio contributo per quello che posso. Mi ero anche proposto per donare il sangue per il plasma iperimmune, ma purtroppo avevo gli anticorpi bassi e non è stato possibile».


Cosa è cambiato da allora? Dopo di lei il contagio non si è più fermato ed è ancora drammaticamente tra noi. Nota delle differenze tra quello che è stata la sua esperienza con l'attualità?
«Vedo con dispiacere e rabbia tante persone che ancora non credono o minimizzano la pericolosità del Covid. Capisco anche la rabbia di chi sta perdendo il lavoro, ma credo che costoro nella loro battaglia sbagliano il nemico numero uno che è il virus. Se penso a quello che ho dovuto sopportare io allora mi chiedo cosa meriterebbero questi che oggi sfidano il virus non rispettando le regole contro il contagio e diventando loro stessi veicoli del Covid? Non so proprio a qusto punto cosa meriterebbero».

Nazareno Dinoi

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4 commenti

  • leonardo
    dom 21 marzo 2021 10:06 rispondi a leonardo

    SEI GUARITO, BENE OK DUNQUE DI SOLO COVID NON SI MUORE(LO DICONO I DOTTORI) LA SPECULAZIONE ECONOMICA FA RABBIA. IL VOLER DICHIARARE CAUSA DI MORTE COVID ANCHE SE UN PAZIENTE è MORTO PURTROPPO DI ALTRA PATOLOGIA. I DOTTORI SONO PRESSATI DAI LORO SUPERIORI A MENTIRE ALTRIMENTI SEI TAGLIATO FUORI. QUESTA è LA REGOLA IN MOLTI SETTORI ES. I MEDIA ''TUTTI'' MARTELLANO CON AGGIORNAMENTI CONTINUI.(GLI ANNI PRECEDENTI NON MORIVA NESSUNO?) I NUMERI LO CONFERMANO.DIFFONDONO LA PAURA PER FAR ACCETTARE ALLA GENTE REGOLE CHE ''MAI'' VORREBBE. SHOCK ECONOMI. LA VERA PANDEMIA è TROVARE GENTE MORTA PER LE STRADE.

    • Anikamina
      mer 24 marzo 2021 09:59 rispondi a Anikamina

      Se una persona cardiopatica cronica,che fa una vita normale,che va avanti prendendo due accortezze e due pastiglie,e questa persona prende il covid, probabilmente ci muore...e probabilmente peggiora la cardiopatia...quindi diciamo che muore per covid o per cardiopatia?fatto sta che muore e che non sarebbe morta senza contrarre il covid...il cardiopatico è un esempio,ci sta il nefropatico,il diabetico, l epatopatico,ecc ecc...ci tenete a distribuire i vari morti nelle varie patologie esistenti?pensate che così il problema si risolva?aumenteranno i morti per cardiopatia,nefropatia ecc.......se vi piace di più....fate voi

    • Antonio
      lun 22 marzo 2021 08:47 rispondi a Antonio

      Sig Leonardo vengono classificati tutti x COVID(Introito nelle casse)

  • Realtà
    sab 20 marzo 2021 01:28 rispondi a Realtà

    Ma chi lo nega o sottovaluta é forse un ignorante

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