Mentre lo studente di infermieristica di Casarano infieriva sulle sue vittime colpendole con sessanta pugnalate, la coppia di fidanzati aveva tentato disperatamente di fermare la mano assassina e chiedere aiuto, urlando, nel tentativo di attirare il vicinato rimasto impietrito dietro le porte, ad ascoltare e spiare. Uno di loro ha addirittura assistito attraverso lo spioncino agli ultimi fendenti inflitti dall’assassino sul corpo di Daniele De Santis che in un estremo tentativo di salvarsi era riuscito a raggiungere le scale della palazzina di via Montello a Lecce, teatro della mattanza. Sono alcuni agghiaccianti particolari che emergono nelle pagine del procedimento a carico di Antonio Giovanni De Marco, ventunenne di Casarano, omicida reo confesso del giovane portiere e della sua fidanzata, Eleonora Manta.
Dal racconto delle numerose telefonate fatte dai vicini ai centralini della polizia, carabinieri e del 118, è possibile ipotizzare una dinamica del duplice omicidio. Scoprendo ad esempio che la prima a morire è stata la ragazza e che Daniele, ormai ferito, prima di uscire sul pianerottolo per tentare la fuga, ha afferrato il telefonino per chiedere aiuto ma non c’è riuscito. Nel tentativo disperato di aprire la schermata e formulare un numero, il giovane ha scattato uno screenshot dello schermo bloccato. Lo racconta lo smartphone trovato per terra in cucina sporco del suo sangue.
Fa rabbrividire ciò che è successo dopo. Il giovane, ferito e sanguinante, guadagna la porta d’uscita inseguito dall’omicida che lo stende sui gradini e lo finisce con altri colpi diretti quasi tutti all’altezza del cuore e al volto.
Scene terribili che avvengono non senza testimoni. Uno racconterà agli investigatori di aver udito rumori e urla provenire dall’appartamento sopra di lui. «Pensavo fossero dei ladri così mi sono affacciato sulle scale gridando che avrei chiamato la polizia», racconterà il testimone che dallo spioncino ha poi assistito alla scena dell’orrore. Da quella postazione ha visto una figura che si trascinava per le scale e «una persona che si avvicinava e lo colpiva più volte mentre la persona a terra implorava il soggetto che lo stava colpendo dicendogli più volte: basta, basta, basta!».
Subito dopo l’assassino, indisturbato, scende le scale ed esce dal portoncino della palazzina dove viene visto da un altro testimone che si trova in strada. Quest’ultimo vedrà l’assassino allontanarsi a piedi impugnando un grosso coltello nella mano sinistra.
Erano le 20,54 di quel lunedì 21 settembre, dai tabulati delle telefonate fatte dalle vittime, risulterà che tutto si è compiuto in poco più di dieci minuti. In quel frangente lo studente d’infermieristica si è recato, secondo gli inquirenti avendo premeditato tutto, nell’appartamento di via Montello dove aveva già abitato per cui aveva conservato la copia delle chiavi. Con quella è entrato in casa dove la giovane coppia aveva da poco finito di cenare. Poco prima la ragazza con il suo Iphone aveva scattato una foto al ragazzo mentre entrava in cucina per la cena. Quella foto così intima viene inviata su un gruppo WhatsApp di amici. È l’ultima volta che Eleonora userà il telefonino. Il suo fidanzato, invece, prima di rientrare era stato da sua madre per ritirare un dolce. La madre gli manderà un messaggio alle 20,44, forse per sapere se il dolce era piaciuto, al quale il figlio non risponderà.
Tra le 20,45 e le 20,55, saranno molti i telefoni che si metteranno in funzione in quella palazzina. Sono le telefonate che gli inquilini, preoccupati dalle grida di aiuto e dai rumori che provengono dall’appartamento del primo piano, fanno alle forze dell’ordine; che quando arriveranno sarà troppo tardi.
Questi i dieci minuti di violenza ceca che per capire da cosa è stata alimentata bisognerà ancora attendere.
Nazareno Dinoi
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