
La svolta può avvenire anche quando si punta ad un risultato non sempre garantito e per a, scontato. E’ il caso del Palmento Galilei di Paolo Mancino, giovane vitivinicoltore savese ed esempio di come le nuove generazioni possano rappresentare un valore aggiunto anche in agricoltura.
La sua è una di quelle belle storie da raccontare, di ritorno al sud dopo gli studi universitari e di una scelta che, dieci anni fa, non aveva incontrato nemmeno il consenso dei suoi parenti più stretti.
L’obiettivo? Coltivare la vite e produrre un Primitivo capace di ricordare gli odori di una volta che Paolo in realtà, non ha mai dimenticato, come un tatuaggio genetico che prende origine nell’antico Palmento del nonno, quando da bambino s’incantava nell’assistere alla nascita di un vino tradizionale e profumatissimo.
Da quell’incanto evidentemente non si è ancora svegliato ed infatti, prosegue con determinazione sulla strada intrapresa. Dal restauro del Palmento ai vitigni di Primitivo coltivati nel rispetto della natura, Paolo Mancino ha conquistato nel tempo una nicchia di estimatori del buon vino. Ma quest’anno, è lui stesso ad evidenziare la portata del cambiamento in atto.
Quando dieci anni fa, ho intrapreso la più bella avventura della mia vita con la Cantina di Sava - Palmento G. Galilei, avevo in mente un vino proprio come questo, complesso e allo stesso tempo, semplice. 100% Primitivo di Manduria Doc biologico. Sono emozionato e felice, convinto che questa bottiglia darà la stessa sensazione a chi avrà il piacere di degustarla".
Imbattersi nella coltivazione e produzione biologica non è semplice ma Paolo Mancino è fiducioso.
"Solo rispettando la natura, i suoi processi, i suoi tempi e con grandissima fatica, posso davvero proporre un vino che abbia dentro l’identità del territorio e racconti la tradizione, quella savese in cui ogni famiglia aveva un palmento e tutti erano vinificatori artigianali. Credo che questa storia debba essere ancora raccontata e valorizzata. Il mio Primitivo Doc Biologico ci prova".
Sferracavalli è il nome scelto per questa bottiglia perché metafora di una salita talmente ripida e dissestata da sferrare i cavalli nel loro tragitto.
"Un vino non facile da ottenere – si legge nella retro etichetta – occorre fatica, costanza nei campi, convinzione di voler rappresentare il nostro Primitivo vinificandolo in purezza al cento per cento. La vinificazione è svolta su lieviti indigeni non selezionati, attraverso una macerazione delle bucce per non meno di 25 giorni in tini di legno e acciaio. L’affinamento avviene nella parte inferiore del palmento semi ipogeo in ambiente naturalmente condizionato da umidità e temperatura".
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