Venerdì, 26 Aprile 2024

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Storia vissuta di un manduriano

Quel 25 aprile nelle memorie di mio padre in guerra

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Volle prima abbracciare le sue sorelle, quattro,  cominciando dalla più grande sino alla più piccola. Al padre fece un bacio biascicato sulla fronte così forte da lasciargli l’impronta bianca per lungo. Poi la mamma. Se la strinse con tutto il vigore dei suoi venticinque anni, da strozzarle i respiri che si trasformavano già in singhiozzi per le lacrime.

- Mà…lo sai che torno… la guerra sarà corta, perché stai a piangere ?- disse per conforto, nel dialetto da entrambi comprensibile, ed asciugandole gli occhi gonfi  con un suo fazzoletto che la donna poi mise in tasca come una reliquia. Non l’ avrebbe lavato, per fioretto o superstizione, se non al ritorno del figlio vivo e salvo.

Gregorio, per non fare tardi alla littorina che doveva portarlo alla caserma di Bari,  smorzò lo strazio del distacco e prima ancora di varcare l’uscio disse: -alla prima licenza…!- con un groppo in gola che cercò di mascherare con la tosse. Gli corsero dietro. Il papà, che faceva il massaro, gli diede un pezzo di formaggio pecorino. Sua madre gli porse una figurina, un santino, di San Gregorio. Portandoselo sempre appresso lo avrebbe protetto in tutte le situazioni pericolose di quella stramaledetta guerra.

La littorina, ansimava nera e fumosa nelle campagne di una fulgida giornata di primavera. I colori della natura incorniciavano i ricordi che di tanto in tanto affioravano da un passato che sembrava già molto passato. La sua giovinezza, gli amici, la giovine con la quale si era messo a “fare l’amore”, un futuro sognato con una famiglia propria per darle tutte le cose che lui non aveva avuto, impedito d’uscire da una povertà sconfortante. Alla caserma gli diedero il benvenuto. Un sacco di domande con risposte d’appuntare. Dove aveva fatto la leva – due anni all’isola di Rodi, nell’Egeo delle dodici isole  – Cosa faceva o aveva fatto di mestiere; quanti erano i componenti della famiglia; quali i loro mezzi di sussistenza… Insomma l’inutile per l’utile della guerra. Serviva solo carne da far spappolare dalle bombe e granate.  Serviva un migliaio di soldati morti, questo chiedeva la Patria, per potersi sedere, impettiti e spocchiosi, al tavola di una pace ricca di vantaggi. C’era da mandarli a far morire su più fronti. Gregorio fu fortunato che una diarrea, di tipo colerico, lo dirottò dal fronte africano al fronte greco-albanese. Altri furono mandati a morire, con gli stracci ai piedi, nel gelo delle steppe ucraine. L’Albania, paese di aquile, era già diventata italiana senza sforzo ma tanto sfarzo. Il re d’Italia, un piccolo savoiardo, lo era anche d’Albania, oltre ad essere imperatore d’ Etiopia. Gregorio, in Albania, avrebbe dovuto sentirsi come in patria. Ma fu deluso.  Quel paese poverissimo a cui si doveva dare e non prendere, era amministrato da un certo Ciano Galeazzo, titolato conte di Cortellazzo che aveva il gran merito d’aver sposato la Edda, figlia del capo dei capi dell’allora Italia.  Gregorio fu assegnato alla 23° Divisione fanteria “Ferrara”, con fanti di montagna stanziati nel Montenegro. Fece parte prima di un gruppo someggiato  per il vettovagliamento a quei poveri cristi costretti a farsi bersagliare dai partigiani della regione. Nel corso della guerra, con la progressiva motorizzazione, arrivarono i camion che si avviavano con la manovella, come i giocattoli a molla. La ditta costruttrice, con le commesse, senza dubbio dovette  diventare grande e ricca. Tra spostamenti vari, tra rigidi inverni, tra distruzioni, cannoneggiamenti, incursioni aeree, Gregorio sopravvisse in quell’inferno, anche miracolosamente. Venne poi quell’ 8 settembre del 1943.

L’armistizio che consegnò buona parte d’italiani in mano agli ex-alleati. Fece sì che  gerarchie di militari vigliacchi e disumani, consegnassero migliaia di esseri umani nelle mani dei disumani. Gregorio, insieme ad altri, fu fatto prigioniero. Poteva continuare a combattere, da “libero”, se giurava sottomissione ed obbedienza ad uno che si faceva chiamare Fuhrer, ad emulazione del Dux latino. Non giurò. Come lo fecero e lo avrebbero fatto tutti. Non giurarono per non fare una grande ingiuria ed un’offesa alla vita. Destinazione, quindi, campi di concentramento per una morte sicura. I belligeranti si ritiravano sempre più nel loro paese. Sicuri di tornare, un domani, da vincitori. Il loro Fuhrer, dicevano, aveva già in mano una cosa grossa e potentissima da far vincere  una guerra ormai persa. Gregorio, vedendo che i militi ex-alleati, ubriachi di illusioni, arretravano sempre più lasciando distruzione e morte dove passavano, decise insieme ad altri di tentare una via di fuga dalla prigionia. Sapendo pure che, in caso di fallimento, gli spettava la fucilazione immediata. Ma fu la fortuna o quella figurina del santo che la mamma gli aveva affidato che riuscì nell’intento. Dove nascondersi ? I fuggitivi allo sbando, con la paura d’esser traditi e scoperti, si nascondevano, come topi, da una parte all’altra.  Chiedevano asilo alle povere famiglie del luogo: decenni dopo sarebbe avvenuto l’incontrario.

Non che Gregorio non avesse visto le malefatte orrende commesse dai suoi connazionali contro quella gente inerte di molto buon cuore. Dopo un anno di sbando anche mentale e dopo che la guerra era stata dichiarata ufficialmente terminata, si doveva far rientrare i militari in patria, senza lasciare traccia. Furono scortati e sottoposti ad interrogatori maligni. Coloro  che, furbescamente avevano  velocemente cambiato casacca e sudditanza, non volevano essere sbugiardati. A giugno dell’anno 1945 Gregorio, finalmente, potette rivedere la famiglia ed i suoi cari. Ci volle del tempo per rendersi conto come quei cinque anni di guerra non avevano cambiato granché. Erano cambiate forme e modi per non cambiare.  Lui che la guerra l’aveva vissuta e vista per davvero; a cosa era servita? Solo per fare morti ? Solo in Italia, quasi mezzo milione. Poco tempo e dopo due anni Gregorio si riaprì alla vita domestica degli umani, formando la sua famiglia. Per anni si fece narratore di guerra, come da lui sopportata, in particolare, con sofferenza e sconforto. Ai figli fece capire che la vita e pace sono un binomio inscindibile. Una cosa tenne segreta, però.  Per anni, decenni, non fece vedere ad alcuno il contenuto di una vecchia scatola di latta. Dopo la morte, avvenuta alla soglia dei cent’anni, la si è potuta aprire. Frammenti di emozioni, ricordi, foto e ritagli ingialliti di giornali appartenuti a Gregorio che, forse per vergogna, non voleva far vedere della vita la parte più brutta che si possa vivere. Una guerra. Quel “Gregorio” era mio padre.

Egidio Pertoso

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