
C’erano anche una ventina di fusti contenenti materiale radioattivo provenienti da Manduria tra i 3.480 conservati nel deposito Cemerad di Statte e trasferiti negli impianti di proprietà Sogin di Nucleco della Casaccia. I bidoni di colore blu riportanti la sinistra elica nera su triangolo giallo del pericolo radioattivo furono trovati agli inizi degli anni Novanta abbandonati in una cava abbandonata in contrada «La Chianca», sulla strada che porta al santuario di San Cosimo alla Macchia, proprio dove ora si trova la discarica Manduriambiente.
Non si hanno particolari precisi su quel ritrovamento. Se non che arrivò la segnalazione al comune di Manduria che provvide al recupero dei circa venti bidoni ancora sigillati e con i coperchi intatti. A disporre in quegli anni l’opera di bonifica del sito, il fondo di una cava appunto, fu il commissario prefettizio che amministrava la città messapica in attesa di elezioni il quale incaricò una ditta specializzata per la rimozione e la distruzione dei fusti radioattivi. Non si hanno notizie sulle misure che furono prese allora per impedire l’eventuale fuga delle radiazioni né se furono effettivamente adottate. Si sa per certo che l’impresa incaricata dal commissario prefettizio era la Cemerad di Statte, appunto, che ritirò i fusti e li depositò nel sito alle porte di Taranto dove sono rimasti sinora. L’amministrazione comunale che successe al commissario, dovette gestire qualcosa iniziata da altri scoprendo che la Cemerad non era in grado di decontaminare il contenuto dei bidoni, la cui natura e origine sono rimasti sempre un mistero, ma soltanto del loro stoccaggio.
Di quel misterioso e inquietante ritrovamento non si è mai più parlato sino al 2010. A farlo fu una sentenza della Corte d’appello del tribunale di Lecce, distaccamento di Taranto che condannava il comune di Manduria a pagare gli arretrati alla società che dieci anni prima si era occupata della rimozione e custodia dei bidoni radioattivi. La Cemerad finì a sua volta in un’inchiesta penale conclusa con il sequestro dello stabilimento di Statte la cui bonifica si sta concludendo in questi giorni. Il conto da pagare era di circa trecentomila euro (dai trenta milioni di vecchie lire originarie) che il comune di Manduria pare non abbia mai pagato.
Un’oscura vicenda dai molteplici aspetti: da quello ambientale che non spiega la presenza né l’origine ma soprattutto il contenuto di quelle scorie, a quello amministrativo-politico che non ha mai risolto il problema facendo in modo che tutto si dimenticasse come in effetti è accaduto.
Intanto i 3.480 fusti contenenti materiale radioattivo stoccati nei capannoni Cemerad di Statte, tra cui quelli trovati a Manduria, verranno trattati, condizionati e stoccati in sicurezza da Nucleco per un costo complessivo di sette milioni di euro. I restanti fusti con rifiuti speciali pericolosi di origine ospedaliera saranno conferiti a siti autorizzati per essere caratterizzati, classificati in base al loro contenuto e smaltiti secondo la normativa vigente.
L’opera di bonifica terminerà a dicembre permettendo così agli abitanti di Statte di tirare un sospiro di sollievo. Ai manduriani resteranno tante domande senza risposta: cosa contenevano quei venti fusti blu con il triangolo giallo abbandonati in una cava in contrada La Chianca? Chi li aveva abbandonati? Da dove provenivano? Cosa contenevano esattamente? Furono raccolti tutti integralmente? Fu bonificata l’area del ritrovamento? Infine: è stata mai fatta una ricerca per vedere se in quella zona furono interrati altri fusti?
Nazareno Dinoi
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