Giovedì, 25 Aprile 2024

Gli articoli

I guadagni delle imprese e l'inerzia di tutti i governi

La mala gestio della politica sulla proroga delle concessioni demaniali

Antonio Dostuni Antonio Dostuni © La Voce di Manduria

La proroga delle concessioni balneari rappresenta un tema che, nel quadro degli impegni presi dal nostro governo per accedere ai fondi del Pnrr, collide con la necessità di liberare il mercato da quella fitta selva di distorsioni che limitano la libera concorrenza. Come è noto, la proroga decisa dal governo italiano, già bocciata dalla Commissione Ue, è approdata avanti alla Corte di Giustizia europea la quale, rispondendo ad un quesito del Tar della Puglia, ha stabilito l’illegittimità di ogni proroga in ordine all’applicazione della direttiva Bolkestein. Il “dictum” della Corte risulta perentorio e inequivocabile: "Le concessioni non possono essere rinnovate automaticamente ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente”.

Conseguentemente, i giudici italiani dovranno disapplicare il decreto “Milleproroghe” varato dal Governo Meloni che aveva prorogato le concessioni balneari al 31.12.2024. La questione, ricordiamo, è sorta a seguito del ricorso dell'Agcom (Autorità garante della concorrenza) contro il Comune di Ginosa il quale, malgrado il veto posto dal Garante, nel 2020 aveva prorogato le concessioni del demanio marittimo. Per questa ragione, l'Agcom aveva impugnato la proroga avanti al Tar della Puglia il quale, a sua volta, aveva sottoposto il problema alla Corte europea. La sensazione è che, stavolta, l'Europa faccia sul serio e sia intenzionata a risolvere definitivamente una “vexata quaestio” che incoraggia i nostri partner europei a credere che l’Italia sia il solito paese delle camarille e degli amici degli amici. Qualche dato potrà chiarire le ragioni di una disputa sorta a seguito della c.d. direttiva Bolkenstein, adottata dalla Commissione Europea nel 2006 e recepita dall’Italia nel 2010, che statuisce l'obbligo di mettere al bando le concessioni in scadenza di spazi pubblici e di beni demaniali. La protesta delle imprese del settore aveva spinto i governi italiani a differire l’applicazione della direttiva costringendo, in questo modo, la magistratura ad intervenire.

Nasce da questa grave inerzia della politica la sentenza con cui, bocciando la legge di Bilancio del 2019 che prevedeva una proroga delle concessioni fino al 2034, il Consiglio di Stato aveva già obbligato il governo italiano a procedere alla vendita degli stabilimenti balneari tramite gara pubblica. Ma, come si è detto, l’attuale esecutivo aveva bellamente ignorato la pronuncia varando il decreto sopracitato. Dopo anni di proroghe, la recente sentenza della Corte di giustizia costringerà, pertanto, il nostro paese a mettere ordine in un settore che conta ben 29.689 concessioni e che, negli ultimi 15 anni, ha visto raddoppiare gli utili senza alcun beneficio per l'erario. Basti pensare che ben 21.581 concessionari hanno versato allo Stato meno di Eu 2.500 all'anno, come ha rilevato l’Agcm in una comunicazione formale indirizzata lo scorso anno a Mario Draghi. Risulta, pertanto, agevole arguire che in Italia i concessionari di beni demaniali hanno potuto contare per anni sulla complicità del mondo politico. In verità, risulta intollerabile che un paese bagnato dal mare, con un litorale di ben 8.300 km, debba continuare a gestire il patrimonio pubblico con quella logica clientelare che rappresenta un tratto identitario, tipicamente italiano, di cui dovremmo iniziare a vergognarci. Siamo davanti ad un esempio clamoroso di “mala gestio” di cui sono responsabili tutti i governi della Repubblica, nessuno escluso.

Neppure il più sprovveduto degli imprenditori avrebbe ricavato la miserevole somma di 115 milioni annui da un settore che, secondo Nomisma, è in grado di sviluppare potenzialmente un giro d'affari di almeno 15 miliardi (al lordo di una stima prudenziale delle entrate “irregolari”). Siamo, pertanto, davanti ad uno degli esempi più macroscopici del modo in cui la nostra classe politica suole tutelare la cosa pubblica. In verità, la vicenda che abbiamo raccontato rappresenta lo spaccato di una nazione cronicamente incapace di fare autocritica e incline a guardare con sospetto l'Unione europea e chiunque osi raccontare la verità di un paese nel quale, ancora oggi, la legge si applica con i nemici e si interpreta con gli amici. In gran parte del corpo sociale, purtroppo, risulta radicata la convinzione che la legge intralci le attività economiche e, per tali ragioni, il cittadino si veda costretto ad aggirarla. Nulla di più pretestuoso, nulla di più menzognero. Ritorna, imperioso, il vecchio monito di Enzo Biagi: “In Italia, di legale, è rimasta solo l'ora legale”.

Antonio Dostuni, avvocato

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