Domenica, 11 Maggio 2025

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“Il nonno aveva il compito di portare i nipoti”

La Fiera Pessima nei miei ricordi

Fiera Pessima in Piazza Garibaldi Fiera Pessima in Piazza Garibaldi

Se c’era un nonno in casa, in famiglia, toccava a lui il compito di portare i bambini a far visita alla fiera. Le mamme  indaffarate a preparare il pranzo. I papà s’impacchettavano col vestito inconsunto  tirato fuori, come cresima santa, dall’armadio con l’odore pungente della  naftalina. In testa la coppola, o cappello finto Borsalino, uscivano per i fatti loro. Si proponevano di ritornare, poi, con l’affare concluso. Un secchio nuovo…ci voleva… Il vecchio si era bucato; mai perdere una goccia d’acqua !  Unmargiale, il manico per la zappa, o una nuova forbice per la pota, ben tagliente, da non lasciare ferite sulle tralci della vite, per uva bella e puttana.

 Il nonno, anche lui tirato a festa, col vestito di panno nero - quello che poteva servire, per volontà del Signore, all’ultimo viaggio - il buon motivo a dare l’occhiata alla fiera ce l’aveva comunque. Anziano alquanto , ma non vecchio e rimbambito, gli innesti riusciva a farli come un grande maestro dell’arte coltura. Gli serviva un coltellino, bel affilato, per tutti i tipi d’innesti che riusciva a fare: a marza, a gemma o a scudo a forma di  T, croce incompiuta. C’era sempre, per lui, un calaprico solitario nel fondo, da rendere nobile per frutti, pere, mangerecce e succose.

 “ Pronti…andiamo…” e si usciva. Quella che anche in quei tempi si chiamava fiera, era una lunga esposizione, lungo il corso principale, di articoli vari che al consueto mercato non si trovavano e potevano riscuotere interesse, per la novità. Tantissimo per l’attività primaria umana. Allora si coltivava, non per diletto, ma per sostentamento, spesso combattendo contro l’inadeguatezza dei terreni  e del clima. I terreni andavano lavorati incurvando la schiena. Per l’acqua, gradito dono di Dio,si scavavano pozzetti e cisterne. Altrimenti ci si affidava al profano sacro pellegrinaggio, un ossimoro, con gli alberi che accompagnavano Pietro, il santo discepolo umile di Gesù.

 Si “faceva” la fiera avanti indietro, due volte, almeno. Niente dovevasfuggire . I bambini si fermavano alle ghiotte bancarelle dei dolciumi. Copete e scaiuezzuli dal piacevole profumo di zucchero e cannella. A casa, però, da poterne portare pochi. I giovanotti, che dall’adolescenza erano divenuti molto presto “uomini”, si lucidavano gli occhi vicino al tirassegno. Una procace ragazza o donna, dal vulcanico busto dall’esuberante seno, faceva da esca. Un colpo…dieci lire; ma tanti ne lasciavano molte di più, pur di mirare il bersaglio giusto. Si poteva tornare a casa col pacchettino di wafer, alquanto stantio, con un certo scorno e pensieri frastornati.

 C’era stato l’anno 1960, l’anno in cui si erano viste le asche, i legni, volare in cielo, per bestemmia alla mancanza di lavoro. Aveva piovuto tanto e le campagne erano sott’acqua. I proprietari dei grandi fondi non compravano più braccia da lavoro. Qualcuno allora si decise, prima ancora d’essere risucchiato dalla nascente fabbrica del ferro, di dare lavoro a lui stesso. Erano comparsi, e la fiera era fiera di esporli, i primi motocoltivatori. Presto vennero chiamati “Pasquali”. Come fossero componenti di famiglia: Pasquale aiutava, molto, ad alleggerire il lavoro nella campagna ! Mentre il Pasquale raschiava la terra, le gocce di sudore andavano nei solchi come biblicamente comandato: ci si procurava, in tale modo, il pane per vivere.

 A volte accadeva che il fratello Pasquale, per distrazione o stanchezza, una carezza, non tanto gentile, la faceva anche al villano, come allora si chiamavano gli uomini di campagna.  Lo lasciava, alcune volte, steso a terra a sentire, per l’ultima volta, il profumo vitale di madre terra.

 Si discuteva, anche, di questo quando amici e compari s’incontravano di fronte alla modernità che avanzava, di anno in anno, scambiandosi riflessioni ed impressioni di convenienza. 

 Così si faceva ora di pranzo. I più piccoli dei ragazzi, avevano desiderio di poter mettere, sotto i denti prima e nello stomaco dopo, le cose buone. E poi, sulla tavola, c’era quel galletto infornato con le patate, immolato per la festa senza rincrescimento, ché aveva molestato le gallinelle nel pollaio: una giusta condanna !

 Frutta secca, alla fine pranzo, non poteva mancare.  Aiutava il gargarozzo  nelle libagioni propiziatorie offerte al santo patrono. I grandi, nello stordimento del vino generoso, e poichè il giorno non era cosa per lavorare, si lasciavano andare ad una dormitina postprandiale.

 Si davano alcune lire ai ragazzi che potevano scegliere di andare alle giostre o al cinema per vedere un film di Ercole, Sansone, Maciste, Ursus, giovanottoni forzuti e muscolosi incaricati di liberare, quasi sempre, verginelle fanciulle dalle grinfie di allupati tiranni.

 Non si dimenticava mai di far visita ai famigliari, molti dei quali portavano, per tradizione devozionale, il nome Gregorio ed anche, per lefemmine, Gregoria, declinati, nella comune vulgata orripilante, in Coju e Coja, come i piccolini sapevano solo dire.

 Il giorno si concludeva facendo rientrare il Santo nella sua abituale dimora, e mentre si spegnevano le luci per la notte aspettando l’indomani come tutti i domani, si ringraziava Dio ed il Santo: se ne sarebbe riparlato, poi, a settembre…

Egidio Pertoso

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