
Restano in carcere i due sammarzanesi, Angelo D’Angela e Massimiliano Papari, di 27 e 42 anni che devono rispondere di concorso nell’uccisione di Antonio D’Angela, 59enne, padre di Angelo, raggiunto da un colpo di pistola a lui indirizzato per errore dal figlio Angelo. Troppe le loro contraddizioni nel corso dell’interrogatorio di convalida del fermo che si è tenuto ieri nel carcere di Taranto davanti al giudice delle indagini preliminari, Francesco Maccagnano che ha disposto la misura cautelare per i due indagati difesi dall’avvocato Biagio Leuzzi. Incoerente è apparso soprattutto il racconto del figlio della vittima che ha cambiato tre versioni di quanto accaduto il 7 dicembre, la sera del delitto. Nella prima, raccontata ai carabinieri di Manduria nel pronto soccorso dell’ospedale Giannuzzi, subito dopo l’arrivo del padre ferito a morte da una pallottola che li ha reciso l’arteria femorale di sinistra, diceva di trovarsi nella stalla dell’azienda di famiglia e di aver sentito un forte rumore che lo aveva fatto precipitare all’esterno trovando per terra il padre sanguinante che gli chiedeva di portarlo in ospedale e di non saper spiegare con cosa si fosse ferito. Il giorno dopo, nuovamente sentito dai carabinieri alla presenza dell’avvocato Leuzzi e del pm Francesco Ciardo, aggiungeva di aver trovato il padre ferito e che quest’ultimo gli consegnava una pistola sporca di sangue che lui nascondeva successivamente in un vicino podere. Nelle due versioni asseriva di non aver visto altre persone intorno. Nella terza ricostruzione di ieri, il 27enne che si occupa di governare i cavalli dell’azienda di famiglia, ha descritto uno scenario diverso ammettendo il contesto violento in cui si sarebbero svolti i fatti e cioè l’aggressione nei confronti di Cosimo Damiano Lonoce e del figlio, contro i quali l’accusato di omicidio si sarebbe avventato a mani nude e collocando in quello stesso contesto il padre Antonio armato di bastone e di pistola e del coindagato Papari, tutti e tre contro i Lonoce che si davano alla fuga. Nessuna ammissione sullo sparo, facendo intendere che la ferita alla coscia del padre sarebbe stata provocata dall’auto di Lonoce che durante la fuga lo aveva investito. Ha poi ammesso di aver aiutato Papari a caricare il padre ferito nella macchina di quest’ultimo e di portarlo in ospedale mentre lui si preoccupava di far sparire la pistola che gli aveva consegnato il padre, nascondendola sotto una grossa pietra dopo averla pulita dal sangue. Sarà lui stesso, il giorno dopo, a far trovare l’arma ai carabinieri che la sequestravano.
Più credibile è stata ritenuta la versione dell’aggredito, Lonoce, il quale avrebbe visto Angelo D’Angela imbracciare la pistola e puntargliela contro non riuscendo a sparare per un possibile inceppamento. Secondo l’accusa, il colpo sarebbe poi partito centrando per errore la coscia del 59venne che si accasciava al suolo prima di essere investito dall’auto in fuga dei Lonoce contro la quale, nonostante la ferita dorma da fuoco alla gamba, riusciva a lanciare il bastone di legno che restava conficcato nel parabrezza. Sempre i Lonoce accusano inoltre l’altro arrestato, Papari, di aver partecipato all’aggressione armato di una roncola con la quale avrebbe danneggiato l’auto.
Confermata da tutti, infine, la lite iniziata quello steso pomeriggio nel circolo carrettieri di cui tutti i protagonisti fanno parte, originata da un episodio avvenuto un anno fa ai danni dei D’Angela, l’incendio di un fienile, per il quale veniva accusato Lonoce.
Al termine dell’udienza il gip Maccagnano disponeva la misura cautelare in carcere contestando ai due indagati il concorso in omicidio di persona diversa da quella voluta, detenzione illecita di arma da fuoco e ricettazione della stessa. Respinto il tentato omicidio previsto dal pm nel provvedimento di fermo. Domani intanto è prevista l’autopsia sul corpo di Antonio della vittima della quale si occuperà il medico legale Liliana Innamorato su incarico della Procura ionica.
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