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Anche il surf valorizza il territorio
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Anche il surf valorizza il territorio
Anche il surf valorizza il territorio | © n.c.L’amore per il territorio può esprimersi in vari modi, alcuni molto intimi ma anche molto suggestivi e seducenti se espressi in modo competente, professionale, consono e non prescindendo mai da un comportamento responsabile e da una visione olistica del benessere individuale e sociale. Questa settimana ho il piacere di raccontare le esperienze di alcuni surfisti che hanno stimolato particolarmente la mia curiosità nel momento in cui mi hanno rivelato che spesso, per allenarsi, frequentano le nostre spiagge di San Pietro in Bevagna ( ma non solo), essenzialmente per l’unicità, l’originalità e le peculiarità che il loro paesaggio estrinseca. L’associazione sportiva
3e60 Gaia di Lecce è nata a gennaio 2013 con la volontà di diffondere sul nostro territorio la cultura del surf,dello skateboard e di tutti gli sport che si praticano all’aria aperta. I protagonisti dell’intervista e associati di 3e60 Gaia sono:
Alberto Peschiulli di Lecce, surfista da circa 6 anni, a breve unico istruttore in Puglia certificato dalla ISA (International Surfing Association);
Stefano Valletta di Cavallino, residente a Lecce,surfista da circa 15 anni e skater;
Danilo Calogiuri di Lizzanello, waterman
, residente a Lecce;
Maria Cristina Dongiovanni di Lecce, presidente dell’associazione.
Ragazzi, cos’è il surf? Alberto: Il surf ha delle radici molto antiche, che bisogna conoscere per poterlo comprendere a pieno: i primi fautori del surf furono sicuramente i Polinesiani. Senza assoluta certezza, prendendo spunto da alcuni canti Hawaiiani risalenti al quindicesimo secolo dedicati a questa pratica di connotazione apparentemente sportiva, ma soprattutto spirituale, ci si può azzardare a pensare che già allora, si tenevano delle competizioni. Si racconta che le sfide riguardavano in alcuni casi prove di forza, in altri, riti di iniziazione dell’adolescente all’età adulta e che veniva messo in gioco orgoglio, coraggio ed onore dei partecipanti. Il primo Europeo che esplorando le Americhe osservò e descrisse questo “sport” fu James Cook, che nei primi anni del 1770, vide alcuni indigeni farsi trasportare da un’onda su dei tronchi di legno. Chiaramente qui parliamo di onde oceaniche. Ti racconto questo per spiegare che considerare il surf uno sport è limitativo, le sue origini dimostrano chiaramente che fu da subito concepito come uno
“stile di vita”. Eppure nel senso comune è spesso identificato come uno sport … Stefano: Sì, c’è da dire che la maggior parte della gente vede il surf come uno sport; ciò nessuno lo vieta perché resta il fatto che per capire cos’è veramente il surf, bisogna “ Essere un surfista”, entrare nella sua mentalità, farsi coinvolgere dalla sua essenzialità, dal suo mondo e instaurare un ottimo rapporto col mare ed il suo profumo, con la natura ed i suoi colori, con la propria anima, con se stessi e con gli altri. Questo ovviamente senza mai dimenticare le sue difficoltà, la sua tecnicità. Il Surf lo pratichiamo necessariamente ed esclusivamente d’inverno, perchè solo allora è possibile trovare le onde ed una relazione intima con l’ambiente circostante … le spiagge di San Pietro in Bevagna particolarmente, hanno un fascino isolano, selvaggio, creato da un miscuglio incantevole di ambienti, quali scogliere, piccole spiagge, riserve naturali o sistemi dunali ricoperti di preziosa vegetazione mediterranea.
Chi è dunque il surfista “puro”? Alberto: Il surfista puro sperimenta se stesso, scavando dentro se stesso e per far questo ha bisogno di un’ambientazione adatta che è generalmente caratterizzata da luoghi specifici ed orari difficili, inconsueti: parliamo particolarmente dell’alba o al contrario del tramonto, così come parliamo della ricerca di solitudine, non c’è assolutamente narcisismo nel surfista, né volontà di esibizionismo, non ricerca un palcoscenico o meglio … il palcoscenico ideale è la natura e le sue luci che si riflettono sull’acqua e sull’ambiente circostante e che sembrano condurti in un mondo magico, in un universo parallelo.
Partecipate a competizioni nel nostro territorio? Stefano: In Italia se ne organizzano abbastanza, ma dalle nostre parti poche, quasi niente. Qui, anche nel mondo del surf, purtroppo, c’è poca sinergia fra i praticanti, poca condivisione. E’ vero come dice Alberto che la solitudine è godimento assoluto, elemento caratterizzante della pratica del surf, ma anche la condivisione esperienziale della percezione della solitudine creerebbe una situazione ideale di godimento per uomini e donne.
Quindi, nel Salento il surf è conosciuto e praticato da pochi anni? Alberto: Sì da noi, in Puglia e nel Salento in particolare, la cultura del surf si è diffusa da poco e molto lentamente, da soli circa cinquanta anni, sottolineando che i primi surfisti si avvicinarono a questa pratica d’estate e per divertimento. Oggi stiamo molto crescendo dal punto di vista tecnico e metodologico, anche nel diffondere la consapevolezza della sicurezza, perché è attraverso le esperienze in acqua, le relazioni con altri surfisti nel mondo e soprattutto mediante l’apprendimento di metodologie didattiche internazionali che è possibile trasmettere l’amore per questo
lifestyle, l’attenzione alla sicurezza e il rispetto per l’ambiente. Agli occhi esterni,in effetti, il surf può apparire come una pratica folle, temeraria, che sfida la natura, il tempo e le sue manifestazioni meteorologiche. Non è così. Il surfista puro, correttamente formato è molto ponderato, è un esperto metereologo, conoscitore delle condizioni necessarie di corrente, di vento e di rotazione del vento, di temperatura dell’acqua, dell’aria, che sta in acqua anche per ore e percorrendo km alla ricerca dell’ “onda perfetta”… è il surfista che crea la sua onda dialogando responsabilmente col mare e con la natura.
Cosa occorre per diventare un surfista puro? Alberto: Perfezionare il proprio stile per un surfista richiede tempo, costanza, sacrificio, impegno, studio e dedizione. Un lunghissimo processo di apprendimento che può durare dagli 8 ai 10 anni.
Quindi in poche parole non è uno sport che va ad accontentare i capricci del turista …. Daniele: Il surf puro, no. Io faccio kytesurf, uno sport acquatico, di recentissima invenzione, nato come alternativa al surf che consiste nel farsi trascinare da un aquilone e che usa la potenza del vento come propulsore. Attrae il turista perché è facile da apprendere, si fa sempre con la tavola da surf ma garantisce una maggiore facilità di intercettazione della velocità con cui si può imparare a planare e in seguito anche a compiere evoluzioni. È possibile usare il kyte sia sulle onde che su acqua piatta, si può praticare con venti ritenuti "deboli",quindi anche in estate. Stiamo anche sperimentando il SUP, Stand Up Paddling, anche questo facile da apprendere e che utilizza tavole più larghe di quelle usuali del surf e le pagaie.
Qual’e essenzialmente la relazione che si instaura tra il surfista e il suo ambiente? Alberto: Non sei e non puoi diventare un surfista se a priori non ami il tuo territorio … se così non è, sei piuttosto un pirata che fa arrembaggio, sei il seguace della moda del momento che compra la tavola mosso da fanatismo smanioso, solo per mostrarla agli amici.
Stefano: Ogni onda sa darti un’emozione diversa.
Daniele: : è una relazione libera, sei autonomo, sei tu, il mare, una tavola e basta … sei tu con le tue sole forze a guidare e a farti guidare dal mare … non hai bisogno di un motore, non deturpi, non pretendi, ti inglobi con la natura.
Quali saranno le vostre prossime attività?:
Maria Cristina: il Progetto Surfing Voice facendoci aggregatori locali di partner che aderiscono al progetto del dott. Antonio Rinaldi di surfing therapy rivolta a persone con difficoltà psico-motorie; il Laboratorio della cultura del mare, propulsore del rispetto per il territorio e per il mare; la scuola surf con Alberto Peschiulli e infine percorsi cicloturistici per coinvolgere i giovani nella pulizia delle nostre spiagge, in collaborazione con Cicloffina di Lecce e Surf Rider Association (Francia). Per più responsabilità, da non escludere anche mie, non abbiamo oggi un vessillo blu da sventolare che è, non lo nego, cosa alquanto dolorosa da accettare per chi ha su questo territorio antenati,radici e posteri … ma che non merita denuncia distruttiva quanto al contrario pretesa di attenzione, ribellione alla cieca rassegnazione, alla trascuratezza. Non si può, dopo avere ascoltato i nostri intervistati, negare ancora l’evidenza che c’è chi, senza forzature, non perde occasione di immergersi e abbandonarsi alla capacità di seduzione di un luogo, che è dichiaratamente il nostro e che ha l’unicità di donare ad uno sguardo attento messaggi positivi, un forte senso della vita e che troppo spesso noi trascuriamo di decantare e difendere, purtroppo innanzitutto da noi stessi.
Loredana Ingrosso [email protected]
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1 commento
Loredana Ingrosso
sab 18 maggio 2013 11:38 rispondi a Loredana IngrossoTengo a dire che tutte le foto sono state scattate esclusivamente in diverse zone di San Pietro in Bevagna