A che gioco giochiamo? | © n.c.Giovanni riporta un episodio in cui ancora una volta nei confronti di una sua amica, Luisa, si è sentito inadeguato e si chiede come mai gli capiti sempre la stessa cosa: "L'altro giorno ho visto Luisa che stava in un angolo con il muso e mi sono avvicinato a lei. Sembrava proprio che avesse bisogno di me. Mi ha detto che aveva un problema con un suo amico e non sapeva come risolverlo. Le ho dato una possibile soluzione al problema, mi ha detto che già ci aveva pensato e non andava bene; ho pensato ad un’altra possibile soluzione e gliel'ho detta ma neanche questa andava bene. Ad un certo punto mi ha detto che si era stufata dei miei stupidi consigli, che erano proprio inutili e se ne è andata. Io mi sono sentito ancora una volta a disagio e con un senso di inutilità, mi sono detto <<…non mi vuole proprio nessuno…>>". Scommetto sia capitato anche a te di avere un’interazione con qualcuno alla fine della quale ti sei sentito a disagio dicendoti cose del tipo “…perché continua a succedermi?”, “…come mai è successo di nuovo?”, “pensavo che lui/lei fosse diverso dagli altri…”. Se hai avuto un’interazione di questo tipo, molto probabilmente, stavi effettuando un
gioco. Fu Berne il primo a definire questa particolare forma di interazione tra due soggetti (leggere <<Dall’Isolamento all’Intimità>>). Proprio come una partita di scacchi o di calcio, un
gioco (psicologico) è effettuato secondo regole ben determinate, è strutturato, prevedibile e comporta una serie di spostamenti dei
giocatori sul triangolo di Karpman (leggere <<Il triangolo no>>). Nel nostro esempio, dopo le prime battute Luisa cambia posizione (da Vittima a Persecutore) e dice: "Sono stufa dei tuoi stupidi consigli!“. A quel punto Giovanni si sente confuso e sperimenta un senso di inadeguatezza e delusione confermandosi la sua convinzione di copione: "Nessuno mi apprezza, in fondo nessuno mi vuole, non sono amabile“ (passa da Salvatore a Vittima). Anche Luisa, dopo un momentaneo senso di trionfo, sperimenta un sentimento di tristezza confermando la sua convinzione: "Nessuno è in grado di aiutarmi" (Persecutore). In base all’evoluzione sul triangolo di Karpman, possiamo affermare che Giovanni gioca al gioco del
Perché non… (Salvatore ? Vittima), mentre Luisa gioca al gioco
Si ma… (Vittima ? Persecutore). Proprio così! I
giochi hanno nomi semplici, chiari, indicativi, intuitivi e possono essere suddivisi in diverse categorie. Esiste una vera e propria letteratura dei
giochi, organizzati e suddivisi in diverse categorie. Nei prossimi articoli ne descriveremo alcuni nello specifico. Per ora li elenchiamo:
1. Giochi della vita (sono quelli che hanno un’influenza decisiva sul destino di chi li gioca nel senso che hanno maggiore probabilità di accompagnare un individuo per tutta la vita): -
L’alcolizzato -
Il debitore -
Prendetemi a calci (il giocatore fa di tutto per essere maltrattato. Comincia da una posizione di Persecutore, marito che maltratta la moglie, e finisce con essere la Vittima, abbandonato dalla moglie). -
Ti ho beccato figlio di puttana (il giocatore comincia col subire il comportamento del proprio interlocutore. Accondiscende su tutto salvo poi trovare, all’improvviso, un elemento per il quale accusare l’altro). -
Guarda che mi hai fatto fare (il giocatore comincia in una posizione di passività seguendo i suggerimenti degli altri. Ad un certo punto, accade qualche evento negativo e lui scarica la colpa sul suo interlocutore).
2. Giochi coniugali (sono quei giochi che più di altri possono fornire un’impalcatura alla vita coniugale e familiare):
- Spalle al muro - Il tribunale - La frigida - L’occupatissima - Tutta colpa tua - Non è la volontà che mi manca (la persona offre aiuto incondizionato. Nel momento in cui l’altro rifiuta l’aiuto il nostro giocatore accusa e maledice il suo interlocutore).
3. Giochi di società (sono quelli che le persone fanno nelle più svariate occasioni di incontro, lavoro, tempo libero, amicizie ecc.)
- Non è terribile - Il goffo pasticcione - Il difetto (Il giocatore trova qualcosa che non va negli altri, critica il loro aspetto, il loro lavoro, i loro abiti. Può continuare fino a quando non verrà rifiutato e respinto da chi è stato criticato).
- Perché non… - Sì, ma… (il giocatore apre col chiedere consiglio e allo stesso tempo scarta tutti i suggerimenti che gli vengono dati. Lo scambio di ruolo avviene quando non riceve più suggerimenti e accusa il suo interlocutore per questo).
4. Giochi sessuali - Vedetevela tra voi - La perversione - Violenza carnale - Burrasca 5. Giochi dello studio medico (sono quelli che si presentano con frequenza durante una psicoterapia)
- Sto solo cercando di aiutarti - Indigenza - La contadina - Psichiatria - Lo stupido (il giocatore comincia con esprimere frasi del tipo “Io non riesco a pensare”. Continua a ricevere carezze per questa sua debolezza finché non gli viene chiesto di agire. In tal caso accusa l’altro dicendo “Avrei fatto meglio a pensare invece che chiederti aiuto”)
- Gamba di legno (il giocatore cerca un suo difetto per giustificare la sua passività. “Cosa vi aspettate da uno che…?”. Sarà passivo finché gli altri smetteranno di provare pietà e lo allontaneranno. Lui li accuserà) Ma cosa sono i
giochi? Berne li definisce un
“insieme ricorrente di transazioni, spesso monotone con una motivazione nascosta o, più semplicemente, come una serie di mosse insidiose truccate”. Quindi, non sono altro che
scambi comunicativi inconsci (alla base dei
giochi non c’è consapevolezza) tra soggetti che hanno un secondo fine da raggiungere. Questo secondo fine, spesso, è legato al proprio copione di vita, al proprio progetto di vita e viene raggiunto
giocando con chi ha un progetto complementare al proprio. Nell’esempio precedente Giovanni ha bisogno di confermare di essere una
Vittima e innesca un gioco con Luisa che, a sua volta, ha bisogno di confermare il suo essere
Persecutore. Possiamo dire, a questo punto, che i giochi si attuano per soddisfare il proprio bisogno di carezze e di strutturazione del tempo, per
mantenere la propria posizione esistenziale, per portare avanti il proprio
copione, per sfuggire l’intimità con l’altro pur mantenendo dei
rapporti emotivamente intensi, per rendere l’altro
prevedibile agganciandolo ripetutamente allo stesso gioco. (nell’articolo <<Dall’Isolamento all’Intimità>> abbiamo affrontato il tema della strutturazione del tempo).
Esempio. Jack incontra Jane. S’innamorano e decidono di vivere insieme. Tutto va benissimo, ma con il passare dei mesi Jack comincia a far soffrire la partner. Ignora i suoi bisogni, spende i suoi soldi, rincasa sempre più tardi e talvolta la picchia. Jane rimane con lui; più lui diventa aggressivo, più lei giustifica lo giustifica. Questo va avanti per quasi tre anni, poi d’un tratto Jane lascia Jack per un altro uomo. Lui torna a casa e trova un biglietto sul tavolo. Lui comincia a rincorrerla e a chiedersi cosa avesse l’altro che lui non ha. La cosa strana è che Jack è già reduce da due esperienza simili, fatte di rifiuti e allontanamenti improvvisi, storie in cui lui cominciava con l’essere affettuoso, poi passava all’aggressività e veniva mollato. Jack sta giocando a “Prendimi a calci”.
Anche Jane ha già vissuto tutto ciò. Anche lei è reduce da storie in cui gli uomini erano dolci all’inizio salvo poi diventare aggressivi e costringerla ad abbandonarli. Jane sta giocando a “Ti ho beccato figlio di puttana”. Da quanto detto emerge l’aspetto per niente ludico del termine
gioco psicologico, in quanto esso si fonda su relazioni non autentiche, non sane e soprattutto esso tende a confermare il proprio piano di vita e i propri messaggi genitoriali senza permettere all’Adulto di prendere in mano la situazione (si consiglia l’articolo <<Come funziona il mio Io>>). Detto ciò, suggerisco di imparare ad individuare i
giochi e arrestarli sul nascere, o quantomeno gestirli con il proprio Adulto in modo da evitare un tornaconto negativo per se stessi. Si esce dal gioco quando si riconoscono i bisogni ed i sentimenti implicati nella relazione con l'altro e si è capaci di scegliere modi adeguati ed efficaci per gestirli.
Gabriele Comentale
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