Sabato, 23 maggio. Non una data qualsiasi, non un giorno qualunque. Oggi, sono passati ben 28 anni dalla strage di Capaci, nella quale persero la vita Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta.
Quest'anno sarà una ricorrenza diversa dal solito, per i motivi che conosciamo. Ma tutto ciò non può e non deve impedirci di ricordare una pagina dolorosa della nostra storia, che a distanza di anni ancora fa male. L'esempio di Falcone, ci insegna molte cose. Primo fra tutti, il senso del sacrificio. Per il bene, di un Paese intero. Che però, non ha imparato molto, c'è da dirlo chiaramente. Quel sacrificio lì, fatto di rinunce. Che tanto è simile ai sacrifici fatti da noi in questi ultimi due mesi, ma al tempo stesso è assolutamente imparagonabile.
Perchè come dice Maria Falcone, sorella del magistrato, Giovanni ha vissuto per 12 anni un lungo lockdown essendo ben cosciente a ciò che andava incontro e senza mai lamentarsi o cedere allo sconforto, al contrario della gente che non è abituata a rinunciare a qualcosa, lamentandosi per soli 2 mesi di blocco totale. Ogni anno il 23 di Maggio coltiviamo la speranza (che spesso poi va perdendosi) che le generazioni future pongano le basi per costruire un Paese migliore. Ma poi ci si rende conto che il lavoro da fare in questa direzione, è ancora tanto. Ed è ben lontano dall'essere avviato. Complice anche una classe dirigente inadeguata e che non offre strumenti all'altezza del compito. Così l'auspicio e l'obiettivo si rinnovano, di anno in anno.
Non dimentichiamo mai, qual'è la nostra storia, quali sono le nostre radici, da dove veniamo e soprattutto, chi siamo stati. Per merito di persone come Giovanni Falcone che hanno reso grande questo nostro Paese, tra mille difficoltà e rimettendoci la loro stessa vita. Con infinito coraggio, quello stesso coraggio che in questi tempi duri hanno dimostrato di avere medici, infermieri e operatori sanitari. Il coraggio di ogni giorno, mentre tutto scorre.
Claudio Rimoli
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