Si è concluso con una condanna a quattro mesi di reclusione e cinque assoluzioni il processo per l’uccisione di «Bambi», il nome che gli animalisti diedero al daino che si aggirava nelle campagne tra Manduria e San Cosimo alla macchia, ucciso con una fucilata e illegalmente macellato. I fatti risalgono ad ottobre del 2017. A finire sotto processo sono stati sei manduriani incensurati, cacciatori regolari, di età compresa fra i 42 e i 69 anni.
Il processo si è celebrato nel Tribunale di Taranto dove il giudice Francesco Maccagnano, nel definire il giudizio nella formula dell’abbreviato, ha pronunciato la sentenza assolutoria nei confronti di cinque imputati e condannando il sesto cacciatore a soli quattro mesi di reclusione. Nel frigorifero della sua abitazione gli agenti di polizia del commissariato di Manduria che si occuparono delle indagini, trovarono la carne macellata del daino. La minima entità della pena inflitta nei suo confronti è stata riconosciuta in virtù della collaborazione: l'imputato dopo un periodo iniziale di reticenza aveva sin da subito ammesso le proprie responsabilità. Nel processo si erano costituiti parte civile le associazioni animaliste, Leeida e Wwf che chiedevano ovviamente la condanna per tutti i sei cacciatori. Il collegio difensivo era composto dagli avvocati Salvatore Taurino, Lorenzo Bullo, Manolo Gennari, Gaetano De Marco, Pier Giovanni Lupo e Paolo Decataldo.
L’uccisione di Bambi sollevò aspre critiche da parte dei gruppi ambientalisti del posto e della popolazione che rimase scossa dalla notizia. L’animale che era fuggito da un agriturismo di Torricella, si aggirava da giorni nelle campagne di quel versante manduriano e non furono pochi gli avvistamenti e i tentativi per catturarlo per metterlo in sicurezza riconsegnandolo ai legittimi proprietari. I più attivi ricercatori furono l’ambientalista manduriano Francesco Di Lauro e il veterinario Patrizio Fontana a cui Bambi riuscì a sfuggire in più occasioni per un soffio. Poi la sua improvvisa scomparsa e le voci della sua uccisione. Dopo la denuncia presentata da Di Lauro partirono le indagini che si conclusero con l’individuazione dei sei cacciatori. A quanto pare, per avvicinarlo e ucciderlo con un colpo di fucile gli imputati usarono come esca un melograno, frutto di cui i daini vanno ghiotti.
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4 commenti
Egidio Pertoso
dom 6 dicembre 2020 01:41 rispondi a Egidio PertosoLa carne della carogna l'avevano mangiata almeno? Se sì, vale il motto " per la spesa vale l' impresa"!
Realtà
dom 6 dicembre 2020 12:24 rispondi a RealtàColoro che hanno commesso tale INFAMIA sono esseri senza spessore e privi di umanità e correttezza. Domanda: come mai si nominano sempre gli Avvucati quando vincono e mai quando perdono?
Marco
dom 6 dicembre 2020 07:15 rispondi a MarcoIn caso di rapina vale lo stesso principio che chi detiene il corpo del reato paga per tutti??
C.F.
dom 6 dicembre 2020 12:03 rispondi a C.F.No, assolutamente, anche se è ovviamente una prova importante. In ogni caso (non solo la rapina), si valutano tutte le circostanze. Se è stato condannato questo cacciatore (ad una pena ridicola, peraltro, dato che era ovvia caccia di frodo su specie protetta, con vittima un animale di proprietà e di affezione), significa che il condannato è stato lo sparatore, e forse la guida del gruppo, tutte cose che saranno in motivazione della sentenza.