L’avvocato Franz Pesare, rappresentante di parte civile nel processo a carico dell’ex carabiniere Luigi Raffaele Pesare, di Sava, condannato a trent’anni di reclusione per avere ucciso il padre, la sorella e il cognato, ha presentato espressa richiesta al pubblico ministero per un suo ricorso in Cassazione contro la sentenza che riconosce all’imputato le attenuanti generiche. Pesare ha atteso il deposito della sentenza firmata dal giudice delle udienze preliminari del Tribunale di Taranto, Giuseppe Tommasino, per farsi portavoce dei parenti delle vittime da lui rappresentati (il figlio minorenne della coppia uccisa e il fratello del suo papà anche lui vittima delle strage). Il penalista è convinto che non potevano essere concesse le attenuanti generiche all’omicida che meritava dunque l’ergastolo.
Al termine del procedimento svolto con il rito abbreviato, il gup aveva accolto le richieste della difesa rappresentata dall’avvocato Lorenzo Bullo che invocava per il suo assistito il riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti e una clemenza sulla pena per una presunta provocazione che aveva portato quell’esito drammatico. La risposta insana quale esplosione di una ostilità controllata per troppo tempo che aveva portato uno stato di frustrazione esplosa in quel 18 novembre del 2017 quando, ipotizzava la difesa, ci sarebbe stata anche una colluttazione tra l’omicida e i suoi parenti.
L’avvocato pesare contesta la parte della sentenza che riconosce le attenuanti generiche per una condotta dell’omicida «sorretta da dolo di impeto desumibile dal tentativo di suicidio» messo in atto dal carabiniere subito dopo la mattanza. Sempre l’avvocato Pesare nella sua istanza stigmatizza la clemenza della pena in ragione di una motivazione che avrebbe dato atto delle "reiterate offese alla propria dignità", dell’omicida. Congetture non provate, sostiene l’avvocato di parte civile, ma solo apoditticamente affermate sulla base di poche frasi pronunciate dallo stesso omicida subito dopo il fatto di sangue e dalla moglie di quest’ultimo.
Ininfluenti e non provate, per l’avvocato Pesare, le presunte offese ricevute dall’omicida e i rancori tra familiari, pure emersi nel corso delle indagini, per presunte inique divisioni di proprietà. «Un militare – si legge nella richiesta di opposizione - non può giungere a gesti così gravi per i modesti ricavi derivanti dalla conduzione di fondi o per reiterate offese di cui per altro non vi è traccia».
Ora toccherà al sostituto procuratore Mari Grazia Anastasia, rappresentante della pubblica accusa nel processo, presentare o meno alla Corte di Cassazione una sua richiesta di revisione della sentenza.
Si tornerà quindi a parlare di un omicidio che ha segnato la vita di molte famiglie a Sava il cui ricordo è ancora vivo nella mente di molti. Il 18 novembre del 2017 l’ex appuntato in forza al nucleo operativo di Manduria uccise con la pistola di ordinanza il padre Damiano di 85 anni, la sorella Maria Pasana di 50 anni e il cognato Salvatore Bisci di 69 anni. Subito dopo il triplice omicidio, Pesare puntò la pistola contro sé stesso esplodendo un colpo sotto il mento che lo ferì.
Nazareno Dinoi
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