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Monastero delle Servite

Monastero delle Servite Monastero delle Servite | © n.c.

Tra la fine del ‘500 e i primi decenni del ‘600 anche l’Ordine Religioso dei Servi di Maria ebbe un significativo rilancio nel Mezzogiorno tanto che nel periodo 1575-1633 furono fondate nove Case, che si aggiunsero alle cinque precedenti. Quella in Terra d’Otranto fu il convento di Casalnuovo in diocesi di Oria, edificato nel 1587.

Nell’ambito delle due comunità monastiche femminili di Casalnuovo, le monache Servite si dedicarono soprattutto ai lavori di ricamo e alla confezione di ex voto; le Benedettine invece confezionavano ottimi dolci, confetture e sciroppi.

La castità femminile fu una vera e propria ossessione tant’è che nelle riforme del Seicento si insisterà di più sul voto di castità che su quello di povertà e ubbidienza. Anche in questo c’era una grande differenza tra Servite e Benedettine. Tanto austera e rigorosa la vita claustrale delle prime quanto fragorosa, e talvolta piena di svaghi, quella delle seconde.

L’aumento delle doti per la monacazione determinò che il monastero diventasse una prerogativa del ceto nobiliare, delle famiglie dominanti cittadine e della borghesia mercantile, al punto che la tranquillità economica delle Istituzioni monastiche femminili è motivo di continua preoccupazione per l’autorità diocesana quanto lo è per i potenti cittadini, che speravano di trarre vantaggi familiari personali. La Troiani fondò il Monastero di Casalnuovo agli inizi del Settecento, solo perché la regola dei monasteri serviti era propria nelle sue intenzioni, ma anche perché non ve n’erano da Roma in giù.

La Troiani decise di prendere a modello le Costituzioni della Badessa Arcangela Maria Biondini scritte per il monastero che fondò nella città d’Arco in diocesi di Trento; perciò ritenne giusto rifarsi ad esse soprattutto per la rigidezza della regola monastica e per il rigoroso rispetto della clausura.

A distanza di venti anni circa dall’apertura del monastero le madri coriste, in osservanza alla regola originaria, sono in prevalenza forestiere. Solo le suore serve provengono da Casalnuovo.

L’evento di maggior rilievo della vita del monastero era, una volta all’anno, la festa della Vergine dei Sette Dolori che ricorre anche ora ogni terza domenica di settembre ed era preceduta da un settenario durante il quale la chiesa veniva aperta ai fedeli, si suonava il tamburo e si sparavano mortaretti.

La Troiani ebbe l’idea di condurre autonomamente la proprietà del monastero che così diventa “impresa agricola”. Incrementò l’allevamento dei bovini e, fatto singolare per quei tempi, ebbe una decisa attenzione alla coltivazione della vite.

I beni patrimoniali assegnati al monastero dello Spirito Santo furono diversi, fra i quali alcune masserie, terreni coltivabili e capitali in denaro dati a censo.Tra le masserie: Masseria Paduli, Masseria Pappaferi, Masseria Torre, Masseria Cicella.

La legge n.3036 del 7 luglio 1866 assicurò alle religiose claustrali di poter restare nel proprio monastero riservandosi il diritto di destinare ad altre sedi le monache superstiti, una volta che fossero diventate meno di sei.

Pochi furono i monasteri di clausura; ovunque la politica anticurialista del nuovo Regno inferse colpi durissimi. La legge 3036, tra l’altro, aveva ordinato la chiusura degli educandati e dei noviziati, impedendo così nuove monacazioni.

Nell’anno 1867 si cominciarono a formare i primi lotti della proprietà fondiaria del monastero, che vennero messi all’asta dall’ufficio del Registro di Sava. Ai primi del Novecento erano rimaste solo quattro monache ed una conversa, che si trasferirono al monastero delle Benedettine di S. Giovanni Battista.

Le Benedettine furono più fortunate perché erano riuscite a riscattare dal Comune di Manduria l’edificio del monastero.

La sorte dell’Istituzione servita manduriana fu definitivamente segnata da un atto di pubblica subasta col quale Salvatore Narsete ed altri per una metà e Raffaele Parisi e Giuseppe Marra per l’altra metà divennero proprietari del monastero.

Nel secolo scorso il monastero ha subito delle trasformazioni che hanno intaccato la sua primitiva bellezza. La più grave è decisamente quella di averlo trasformato in una fabbrica per la manifattura dei tabacchi con la costruzione di due saloni posticci che hanno orrende volte alla “margherita”.

Il presunto architetto del monastero viene considerato Mauro Manieri, censore, dottore, matematico.

La facciata del monastero è in sintonia con l’idea ispiratrice. Forza e severità sono le componenti fondamentali dell’esterno della costruzione. Eccetto pochi fregi molto sobri su due finestre non v’è alcun elemento decorativo superfluo. Un messaggio chiaro e inequivocabile al popolo dei fedeli, che si allenta solo quando si osserva la parte alta della facciata della chiesa e il campanile. Le ragioni di questa soluzione sono appropriate perché quelle parti della struttura architettonica appartengono direttamente alla Divinità e non come il resto della Comunità delle religiose e dei fedeli.

La tradizione del ricamo delle monache Servite si manifesta ancora di più nella bellissima veste dell’Addolorata che si trova nella chiesa di Sant’Angelo a Manduria.

Negli anni cinquanta dello scorso secolo è venuto a mancare il giardino, ceduto dal suo proprietario al Comune di Manduria che vi costruì il mercato coperto cittadino spazzando via il bel giardino settecentesco.

Riassunto tratto dal libroMaria Giulia Troiani e il Monastero delle Servite di Manduria, Antonio Pasanisi, editore Caforio, 2005, 144 pagine

Nel 2017 lo splendido chiostro si è prestato come scenario per l’esposizione delle sculture in cemento del famoso artista campano Pietro Guida.
Nel 2018 il monastero è stato interessato da lavori di restauro commissionati dal Comune di Manduria per essere adibito a museo civico sulla Seconda Guerra Mondiale.
Per due edizioni consecutive (2018 e 2019) si è svolta la Festa del nostro giornale “La voce di Manduria”, sviluppando i temi della resilienza e dell’ambiente.

Dal punto di vista architettonico

Il monastero delle Servite risale al 1710 e si presume sia opera dell’architetto Marco Manieri, già autore di numerosi edifici nel Salento e del Palazzo Imperiali di Manduria.
Osservando da vicino la struttura dell’edificio, il colore e la porosità del materiale utilizzato, possiamo presupporre sia il carparo, molto diffuso in Puglia per la presenza di numerose cave nel salento.

«La sobrietà delle linee nell’architettura del Manieri, che rivelano la sua educazione classica, rispondeva all’austero rigore dell’ispirazione religiosa dell’Istituzione monastica servita voluta dalla Troiani», così descrive l’opera Antonio Pasanisi nel suo libro “Maria Giulia Troiani e il monastero delle servite”, evidenziando quindi la grande professionalità e maestria dell’architetto nell’aver compreso la risoluta personalità della committente ed esser riuscito a tradurla in un modello architettonico religioso che incarnasse i requisiti richiesti.

Infatti esternamente la facciata è spoglia e semplice, gli unici elementi aggettanti sono le inquadrature delle finestre e la ghiera dell’arco del portale d’accesso.
Internamente il chiostro è caratterizzato da uno spazio centrale scoperto, al centro del quale vi è un pozzo posto su di una base ottagonale leggermente sopraelevato rispetto il pavimento.
I corridoi che corrono lungo i lati sono coperti con volte a crociera e si affacciano sul piazzale tramite delle arcate a tutto sesto, sei per ogni lato lungo e quattro per ogni lato corto. Gli archi sono intervallati da paraste addossate ai pilastri, con capitelli ad echino trapezoidale che si alternano lungo il perimetro con decorazioni a volute o a foglie.
Il pilastro angolare vede il restringimento della parasta e del suo capitello che assume quindi una forma ridotta e parallelepipeda.
Il porticato sorregge un ballatoio scoperto dal quale vi si affaccia tramite una balaustra di pietra decorata da modanature. Essa è caratterizzata dalla presenza di doccioni a protome antropomorfe che avevano il compito di canalizzare il deflusso dell’acqua piovana e, probabilmente anche per allontanare gli spiriti maligni.
Il pozzo è centrale rispetto il chiostro ed è affiancato da entrambi i lati da due alti plinti che sorreggono due coppie di colonne binate estremamente ravvicinate con capitello decorato e abaco quadrangolare unico.

Francesca Dinoi

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