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TARANTO — La forte personalità criminale di Francesco Scarci, capo dell'omonimo clan smantellato l'altro ieri con gli undici arresti eseguiti dalla polizia di Taranto per conto della Procura distrettuale antimafia salentina, era ben considerata e temuta anche in alcuni uffici delle istituzionali locali. La prova di questo, relativa alla gestione dei punti ristoro interni allo stadio Iacovone, emerge con chiarezza in alcune intercettazioni ambientali e telefoniche catturate dagli investigatori della squadra mobile tarantina diretta da Fabio Abis. A novembre del 2009, Luciano Caputo telefona a Maurizio Petracca, entrambi prestanome degli Scarci nella conduzione dei chioschi, per avvertirlo di un sopralluogo in atto da parte di non identificate figure che rilevavano la presenza di personale impiegato in nero all'interno dei bar. «Sta succedendo un casino … vogliono che dobbiamo assumere le persone sennò non ci fanno aprire domenica … vieni subito con Peppe», dice Caputo al suo interlocutore riferendosi a «Peppe» Scarci. Due minuti dopo Petracca chiama il suo capo che in quel momento si trova a Scanzano Jonico (dove gestisce con la famiglia un'altra attività commerciale) e lo avverte del «casino». Compresa la gravità e non potendosi spostare a Taranto, Giuseppe Scarci fece intervenire direttamente il fratello Francesco che risolse tutto nel giro di pochi minuti.
La prova è contenuta in una successiva conversazione intercettata sempre il 27 novembre di quell'anno. «Per questa domenica rimane tutto così, perché è venuto zio Franco (Francesco Scarci, nda)».
Gli investigatori non hanno dubbi: «In assenza di Scarci Giuseppe, in quel momento lontano da Taranto - si legge nell'informativa della polizia inviata al procuratore antimafia Giorgio Lino Bruno che ha coordinato l'inchiesta -, era intervenuto personalmente e direttamente Scarci Francesco (zio Franco), il quale era riuscito ad impedire, avvalendosi evidentemente anche della notoria personalità criminale, la chiusura degli esercizi». Il controllo da parte del gruppo criminale sulle attività di somministrazione bevande nella struttura sportiva, ha avuto un recente risvolto politico nel Comune di Taranto, proprietario dello stadio, sfociata con il divorzio tra il sindaco Ippazio Stefàno e l'ex assessore al Patrimonio, Dante Capriulo, del Pd. Quest'ultimo, in seguito esonerato dall'incarico di giunta, era contrario all'ipotesi di proroga della concessione al vecchio intestatario, Luciano Caputo, demandando tutto all'esito di regolare gara. Possibilità bocciata dal sindaco che nelle more di una nuova gara ha autonomamente concesso la speciale proroga a Caputo (tra l'altro moroso per 9 mila euro di canone non versato al comune), il cui nome compare ora tra gli arrestati dell'altro ieri.
Nazareno Dinoi sul Corriere del Mezzogiorno
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