IQuello era uno dei tanti giorni in cui avevo la testa per aria e ci voleva davvero poco per farmi sclerare. Ero arrivato al supermercato in compagnia di Mohamed Ly, un senegalese che si guadagnava da vivere lavorando in campagna. Entrai e l’uomo alla porta che chiedeva la carità mi salutò, ma non risposi perché lo ritenevo un parassita, non certo per il colore della sua pelle. Quando uscii mi strappò letteralmente di mano il carrello dicendo che ci pensava lui e reagii in maniera colorita, scatenando le idiozie di chi mi aveva visto e l’approvazione di uno che conoscevo razzista. Da allora, iniziò a mettermi sul mio profilo Facebook foto di negri che orinavano dentro le corriere o che facevano le loro cose dovunque si trovassero. L’idiota mise anche la foto di un gruppo di africani che aggredivano degli agenti ma, fra quegli agenti, c’era anche uno che conoscevo, che era in licenza nella data di quella foto. Aveva preso la foto di uno scontro con i centri sociali, vi aveva montato dei negri e l’aveva spacciata per quello che voleva lui.
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