Venerdì, 19 Aprile 2024

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«Papà, quando potrò tornare a giocare in piazza?»

«Papà, quando potrò tornare a giocare in piazza?» «Papà, quando potrò tornare a giocare in piazza?» | © n.c.

Le osservazioni che seguono traggono spunto dalle oramai ripetute, costanti, monotematiche domande rivoltemi da Francesco, mio secondogenito (:”papà, quando potrò tornare a giocare in piazza?”) oggi undicenne, per anni assiduo frequentatore di piazza Giovanni XXIII, sino al tristemente famoso 28 ottobre 2018, giorno in cui una violentissima tromba d’aria ha devastato e reso irriconoscibile e non più usufruibile, una fra le più grandi piazze pubbliche di Manduria, per sua natura luogo di aggregazione, incontro e socializzazione per grandi e piccini.

Non che prima brillasse per decoro, magnificenza od organizzazione degli spazi, né che potesse essere definita “polmone verde” della città in virtù degli alti pini che, seppur declivi, ne circoscrivevano il perimetro (l’auspicato “parco cittadino” è indubbiamente ben altra cosa), ma che tuttavia costituivano un valido argine ed un filtro naturale all’infestante smog emesso quotidianamente da migliaia di rombanti vetture che ancora oggi la circumnavigano o la sfiorano.

Dunque, nonostante questi evidenti limiti, sino al giorno dell’infausto evento, era comunque gratificante, percorrendo la piazza, imbattersi nei volti gioiosi di tanti bambini che giocavano a rincorrersi a piedi od in bicicletta piuttosto che a nascondersi dietro i fusti degli alberi, in pazienti amorevoli mamme che dondolavano dolcemente i propri pargoli sulle sparute eroiche altalene, in gente di mezz’età che conversava pacificamente magari seduta sulle deformi panchine, così come in signori anziani che giocavano a carte accanitamente. Ed io, quarantasettenne collaudato papà, ero felice di vedere tornare a casa all’imbrunire, nelle calde afose giornate pre-estive, i miei figli grondanti di sudore, a volte sudici o con le ginocchia sbucciate, sfiniti senza più energie, ma comunque felici ed appagati ed ansiosi di ripetere il tutto il giorno seguente. Già, perché in loro non posso far altro che rivedere me stesso, spensierato ragazzino e adolescente che i medesimi, questa volta però polverosissimi, sdrucciolevoli, sterrati metri quadrati, percorrevo, inseguendo, assieme agli improvvisati amici del momento e compagni di squadra, uno sgonfio pallone, sognando magari di segnare un goal alla Platini, alla Maradona o alla Zico, inarrivabili campioni di quei tempi, nelle porte di fortuna i cui pali erano costituiti dai tronchi, allora esili, degli stessi pini oggi volati via chissà dove. Quanta giovanile baldoria, quanto allegro frastuono, in quella stessa piazza, a volte eccessivo e perciò puntualmente sottolineato dall’immancabile, categorica esclamazione proferita da una verace donna messapica: “sci sciucati mmeru lì casi uesci”, e seguita dalla minacciosa iraconda imprecazione del suo uomo: “cci zziccu cuddu palloni, bbi lu taju, mannaggia ci bbe m…..”. Inevitabili rudi, folcloristiche affermazioni, ancor più giustificabili tutte le volte in cui quella stessa polvere che, quasi quotidianamente, respiravamo e mangiavamo, diventava dopo un temporale estivo poltiglia fangosa, di cui la palla si impregnava e che magari, per colpa di un tiro sbilenco particolarmente violento, si andava ad infrangere contro le pareti imbiancate delle abitazioni circostanti, imbrattandole irrimediabilmente.

Ah! Quanta nostalgia per quei tempi in cui sembrava ancora lontana anni luce l’era degli smartphone, tablet, playstation, che oggi per manifesta colpa di noi adulti o assoluta complicità, rendono piatto l’elettroencefalogramma dei nostri figli (e non solo).

Ora, oltrepassando la malinconica parentesi temporale, giusto sfogo degli irripetibili ricordi d’infanzia e gioventù, e tornando alla questione di fondo e cioè trovare una risposta plausibile al pressante, impellente quesito postomi da Francesco (“papà quando potrò tornare a giocare in piazza?”), con evidente imbarazzo e arrampicandomi un po’ sugli specchi, gli ho risposto, meravigliandomi di come non avesse ancora compreso il fatto di vivere in una città straordinaria come Manduria, dato che straordinaria è la sua storia millenaria, straordinariamente possenti le mura megalitiche che la circondano, straordinariamente affascinante il suo centro storico, costellato di splendidi palazzi signorili e molteplici chiese, autentici gioielli artistico-architettonici, straordinario il suo mare cristallino, le alte dune con la meravigliosa macchia mediterranea, le spiagge dorate, i fiumi d’acqua sorgiva, i boschi e le saline; straordinariamente “rossa” la fertile terra da cui traggono vita e nutrimento le pure straordinarie viti del primitivo.

Fatto è che la “straordinarietà” secolare e millenaria della “magnifica città” e del relativo territorio, viene sempre più spesso offuscata dalla “straordinarietà” del presente, laddove l’aggettivo straordinario va perfettamente a braccetto con sostantivi tristemente noti quali discariche (straordinariamente capienti ed inquinanti), straordinari depuratori consortili, straordinari olezzi, straordinarie buche per ampiezza e profondità, strade straordinariamente buie, cigli delle strade soprattutto periferiche straordinariamente sporchi, straordinaria insufficienza viaria e infrastrutturale, straordinaria emergenza idrogeologica, straordinaria emergenza sanitaria ed epidemiologica, straordinaria litigiosità politica ed inerzia amministrativa.

Dunque, partendo dal presupposto che, ancora ad oggi, la sopramenzionata piazza Giovanni XXIII appare ai più, come una moderna-orrenda Stonehenge, all’interno di un campo minato postbellico della ex-Jugoslavia, già preceduto dall’inevitabile rimozione dei pure orripilanti pericolanti tubi che, a giusta ragione, ne avevano cagionato il relativo appellativo, sbigottito di cotanto obbrobrio architettonico (pur salvandone il significativo messaggio ecumenico) e rammentando che di completamento della rete fognaria Manduria ne ha storicamente cronicamente necessità, ma in terra e non nell’aere, mestamente concludo costatando che non c’è da stupirsi, se un evento straordinario come la tromba d’aria del 28 ottobre 2018 ce l’ha portata via (piazza Giovanni XXIII) ed un altro evento straordinario come un miracolo di San Gregorio Magno (peraltro straordinariamente onorato e festeggiato ben due volte l’anno dai manduriani) ce la riconsegnerà più grande e più bella di prima.

Massimo e Francesco De Santis

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