Martedì, 23 Aprile 2024

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Profughi e tragedie, come lavarsi la coscienza

Profughi e tragedie, come lavarsi la coscienza Profughi e tragedie, come lavarsi la coscienza | © n.c.

Da un po' di tempo la strategia comunicativa del "creiamo un nemico ad hoc" è leggermente cambiata. L' uomo nero, pur essendo ancora uno spauracchio, è diventato un po' meno "nero".

I nemici da combattere, nella narrazione corrente, sono gli scafisti sfruttatori e le ONG truffatrici. Se i migranti si spostano è solo a causa loro. Questo cambio di prospettiva ha come conseguenza immediata il far sentire meno colpevoli coloro che non provano un minimo di empatia verso i loro simili e, paradosso dei paradossi, dare loro un argomento per attaccare coloro che, invece, non si girano dall'altra parte. Come dire "siete voi che li volete accogliere a non capire che così incentivate il traffico facendo loro del male, noi abbiamo capito il giochetto e siamo inflessibili: qui non entrano più così non si sposteranno più e nessuno li sfrutterà più".

Certo.

Peccato che le popolazioni si siano sempre spostate, sempre. Basta prendere in mano un sussidiario di scuola elementare, oggi primaria, e ovunque leggeremo che quel popolo era originario di quello o di quell'altro posto, si era spostato dal punto A al punto B mettendo radici nel posto di arrivo e, spesso, lasciando tracce importanti di sé nel mondo, tanto da essere menzionato, migliaia di anni dopo, in un libro di storia. Chiudere i porti e impedire i soccorsi ha solo una conseguenza: la morte in mare di centinaia di disperati con la nostra, la vostra, complicità.
Ed anche questo, un giorno, comparirá in un libro di storia.

"In pochi a nuoto arrivammo qui sulle vostre spiagge. Ma che razza di uomini è questa? Quale patria permette un costume così barbaro, che nega perfino l’ospitalità della sabbia; che dichiara guerra e ci vieta di posarci sulla vicina terra. Se non nel genere umano e nella fraternità tra le braccia mortali, credete almeno negli Dei, memori del giusto e dell’ingiusto. "
[Virgilio, Eneide, Libro I 538-543]

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