Sgarrari – sgarrài (sgarròu) – sgarratu v. tr., abbattere, diroccare. Come v. intr. imp., crollare.
Sgarrapalazzi, soprannome della famiglia Bianco.
Sgarroni – sgarruni s. m., errore madornale: mo l’a fattu nu sgarroni! Mo l’hai fatta grossa!
Sghea – i agg. f., dorata, color oro. V. fica.
Sghirru – i agg. m., nell’espressione uècchj sghirru, occhio storto.
Sgramari – sgramài – sgramatu v. intr., lamentarsi per un dolore insopportabile.
Sgranari – mi sgranài – sgranatu v. tr., mangiare con avidità.
Sgrappatu – a agg., pl. inv. sgrappati, dei grappoli di uva con pochi acini. V. ssilatu.
Sgràšciu nella loc. avv. a sgràšciu, gratis, senza pagare.
Sgratalari – sgratalài – sgratalatu v. intr., illanguidire, venir meno: comu lu seppi, sgratalòu totta, come lo venne a sapere, illanguidì.
Sguìnciu nella loc. avv. ti sguìnciu, di lato.
Sgumagnari – sgumagnài – sgumagnatu v. tr., sgominare.
Sgunfiari – sgunfiàì – sgunfiatu v. tr., sgonfiare. Come v. intr., forare, di bicicletta, auto, ecc.
Si pron., si: si mesi a scriri, si mise a scrivere. E’ anche abbr. di sinti, sei, corrispondente alla 2^ pers. sing. del pr. ind. del v. èssiri: si’ pròpia fessa! Sei proprio uno stolto!
Siàuzu – i s. m., albero e frutto del gelso.
Sibbirtura – i s. f., sepoltura.
Sibbolcru – i s. m., sepolcro.
Canto pop. : O sibbolcru mia cloriosu, / tuttu pienu ti cranni ardori, / ddà lu corpu sua priziosu / štessi chiusu quarantott’ori! / Quarantott’ori a llu sibbolcru / ti na misara criatura; / carni e ossi, carni pura / štessi chiusa in sibbirtura. / Jè di tutti visitatu / ti la crištianeria / e di làcrimi bagnatu / ti la vèrgini Maria.
O sepolcro mio glorioso, pieno di grande ardore, là il corpo suo prezioso rimase chiuso quarantotto ore. Quarantotto ore nel sepolcro di una misera creatura; carne e ossa, carne pura rimase chiusa in sepoltura. E’ da tutti visitato da parte dei cristiani e di lacrime bagnato dalla vergine Maria.
Sicarru – i s. m., sigaro. V. sìcuru.
Ton Sicarru, personaggio manduriano rimasto nella memoria popolare; si tratta di Federico Gatti, proprietario, vissuto nel periodo del colera del 1886.
Siccari – siccài – siccatu v. tr., seccare, mettere a seccare. Come v. intr., inaridirsi: ci no pparla li secca la lèngua, parla a sproposito ( come se, opportunamente tacendo, gli si potrebbe inaridire la lingua).
Nota. Vale la pena dire due parole sul verbo siccari. Una pratica ancora oggi abbastanza diffusa, è quella di mettere a seccare sui cannicci, al sole di luglio agosto, specialmente fichi, ma anche pomodori, da conservare poi per l’inverno.
Di fichi, in passato, se ne seccavano in quantità industriali perché, oltre a fare la provvista per sfamarsi d’inverno, si vendevano per trarne un profitto, col quale spesso si riusciva persino ad affrontare le spese di matrimonio per un figlio o una figlia.
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