Non ha voluto rispondere alle domande dei magistrati, ma ha chiesto, in lacrime, di vedere i suoi figli di 14 e di 6 anni. Quelli stessi che due giorni prima, con una freddezza da killer, ha cercato di uccidere tagliando la gola al primo e scaraventando dal balcone del terzo piano l’altra. Ovviamente una richiesta impossibile da esaudire in questa fase e probabilmente mai più in futuro. Si è conclusa così ieri mattina, nel carcere di Taranto dove è rinchiuso da domenica sera, l’udienza di convalida dell’arresto a carico del quarantanovenne tarantino autore del doppio tentativo di omicidio nel quartiere Paolo VI.
All'apertura dell’interrogatorio di garanzia davanti al gip Paola Incalza e al pubblico ministero Filomena Di Tursi, l’indagato assistito dal suo avvocato di fiducia, Nicola Cervellera che subito dopo ha comunicato la rinuncia dell’incarico (ne parliamo in alta parte del giornale), ha subito dichiarato la volontà di avvalersi della facoltà di non rispondere. Una decisone lucida, presa coscienziosamente e in piena autonomia dall’uomo che non ha avuto occasione prima di consultarsi con nessuno. Dopo la verbalizzazione delle volontà dell’indiziato, quest’ultimo che sin dal momento del suo arresto non aveva mostrato nessuna emozione, ha avuto un crollo e, in lacrime, ha supplicato i magistrati di poter vedere i due figli. Non ha chiesto invece le loro condizioni di salute né se la più piccola fosse ancora viva non facendo quindi nessun riferimento a quel disumano gesto che ha ridotto in fin di vita la sua bambina facendole fare un volo di dodici metri completando così un disegno che aveva iniziato poco prima con l’altro figlio quattordicenne salvo per miracolo con un taglio al collo fortunatamente non mortale.
Quelle lacrime di ieri, quell’assurda richiesta caduta nel vuoto, hanno provocato momenti di forte emozione in tutti i presenti per i quali è stato inevitabile pensare al corpicino di venti chili la cui vita è appesa ad un filo in un letto della rianimazione dell’ospedale Santissima Annunziata di Taranto.
L’udienza è durata poco più di dieci minuti, poi c’è stato l’incontro, breve anche quello, tra l’indagato e il suo avvocato che gli ha comunicato la volontà di rinunciare all’incarico. «Ha abbassato il capo annuendo senza replicare come quasi se l’aspettasse», spiega il legale che ha potuto così godere di un suo diritto mollando un fardello che non lo aveva fatto dormire per due notti. Rimasto senza più difesa, toccherà all’indagato cercare un altro professionista a cui affidarsi altrimenti toccherà alla burocrazia giudiziaria affidargliene uno d’ufficio che dovrà seguirlo in quello che sembra ormai un giudizio già tracciato dall’esito pressoché scontato.
Al termine di tutto, il detenuto è stato prelevato dagli agenti di custodia che lo hanno accompagnato nella cella dove è rinchiuso con il massimo della sorveglianza. Da quando ha fatto ingresso nel carcere di Taranto, l’uomo è stato tenuto in isolamento per evitare qualsiasi contato con gli altri detenuti. Un isolamento che si rispecchia anche all’esterno. Nessuno dei suoi familiari, infatti, ha ancora chiesto di vederlo né si è rivolto sinora al suo, a questo punto ex avvocato di fiducia, per informarsi sulla sua sorte processuale.
Nazareno Dinoi su Quotidiano di Taranto
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