Se c’è un’alternativa al depuratore consortile con vista mare che l’Acquedotto pugliese e la Regione Puglia hanno previsto in zona Urmo-Specchiarica, l’avrebbero trovata i tecnici dello studio di ingegneria e geologia Luparelli di Francavilla Fontana. Sono loro gli autori di un piano operativo, già noto alla Sezione risorse idriche del Dipartimento agricoltura e tutela dell’ambiente regionale, che al posto delle costosissime e impattanti vasche di raccolta dei reflui, sfrutta le cave dismesse della zona. Tale progetto, inoltre, prevede il riuso irriguo dei liquami depurati ed esclude lo scarico a mare, neanche quello cosiddetto di emergenza che entrerebbe in funzione in caso di abbondanti piogge o per il malfunzionamento degli impianti a monte. Insomma, quello che oggi metterebbe d’accordo quasi tutte le parti in causa, ambientalisti e avetranesi da una parte, enti comunali di Manduria e Sava dall’altra e naturalmente gli organi regionali sia politici che tecnici che non vedono l’ora di partire con i lavori e scongiurare così il rischio di una temuta infrazione da parte della Comunità europea.A rivelarne l’esistenza, oggi, è uno degli autori di quel progetto, il geologo francavillese Giuseppe Luparelli che racconta alcuni retroscena datati quasi cinque anni fa.
«Era l’estate del 2014 – ricorda il geologo Luparelli – quando a Manduria incontrai il sindaco di allora (Roberto Massafra all’epoca, Ndr), suggerendogli, gratuitamente, una soluzione alternativa allo scarico a mare». È bene ricordare che in quel periodo il pomo della discordia era rappresentato appunto dalla condotta sottomarina che nessuno voleva, mentre non era in discussione l’ubicazione del depuratore.
«La proposta – spiega il geologo - era accompagnata da una dettagliata relazione consistente nello sdoppiamento dei due impianti, quello esistente alle porte di Manduria (all’uscita della città sulla via per San Pancrazio Salentino, Ndr) con opportuno adeguamento degli scarichi che oggi vanno a finire nella vora del canale Romano».
L’idea dello studio d’ingegneria prevedeva l’invio dei reflui, per il loro riutilizzo in agricoltura, in una prima grande cava dismessa denominata «Le Monache» che ha una capienza di due milioni di metri cubi. Un secondo impianto ex novo, più piccolo, probabilmente a beneficio della futura rete fognaria delle zone marine, era previsto in contrada «Marsella», una zona che protende verso la costa ma più distante dal mare di quella individuata dall’Aqp; ricca anche questa di vecchie cave abbandonate (contrade Demani-Campanella) dove andrebbe un altro milione di metri cubi di reflui depurati per l’utilizzo agricolo.
L’allora sindaco Massafra non ritenne evidentemente fattibile un simile progetto che lo studio Luparelli, tre anni dopo, ha presentato ad un bando regionale «per il recupero delle cave dismesse presenti nel territorio regionale ed utilizzazione delle stesse per il riuso delle acque reflue depurate». Al bando che metteva a disposizione centomila euro per la sola progettazione, ci sono stati 19 candidati, tra enti pubblici e studi privati, solo quattro ammessi a finanziamento. Tra questi non c’era quello di Luparelli.
Nazareno Dinoi
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