Salvatore Pesare, il carabiniere savese finito sotto processo per avere ucciso a colpi di pistola il padre Damiano di 85 anni, la sorella Maria Pasana di 50 e il cognato Salvatore Bisci di 69 anni, era capace di intendere e volere al momento del triplice omicidio concluso con il tentativo di suicidio dell’omicida. Lo hanno stabilito ieri mattina, nel corso dell’udienza che si è svolta nel Tribunale di Taranto, sia il perito che il consulente della pubblica accusa. Sfuma così, a meno di nuove risultanze, l’ipotesi dell’infermità mentale proposta dalla difesa dell’ex militare rappresentata dall’avvocato Lorenzo Bullo che ha chiesto un rinvio per valutare le complesse valutazioni dei periti di cui è venuto in possesso pochi giorni prima. Il penalista, inoltre, si è riservato di decidere se procedere con l’esame del suo cliente che continua a non ricordare quei terribili attimi che da irreprensibile militare si è trasformato in un assassino.
Una strage, quella del 18 novembre del 2017, che ha scosso l’intera comunità di Sava ed anche i colleghi del militare che subito dopo il triplice omicidio raccolsero la telefonata dell’omicida un attimo prima che si esplodesse il colpo sotto il volto con l’intento di farla finita. Il movente, si saprà dopo, sarebbe stato legato ad interessi di natura economica per una eredità divisa male tra lui e la sorella. L’unico sopravvissuto di quella follia è il figlio undicenne della coppia uccisa che fortunatamente quel giorno era ancora a scuola. Ora il minore si trova a casa di alcuni parenti, parte civile nel processo assistiti dall’avvocato Franz Pesare.
L’udienza di ieri è stata rinviata al 17 maggio per la discussione e la sentenza.
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