L’omicidio di Antonio Massari, il fruttivendolo manduriano di quarant’anni morto cinque anni fa per le ferite riportate durante un pestaggio, non è stato volontario ma preterintenzionale. È stata confermata quindi la pena ridotta a dodici anni di reclusione inflitta a Luigi Dalemmo, autore dell’omicidio, difeso dagli avvocati Franz Pesare e Alfredo Gaito. Lo ha stabilito in via definitiva la prima sezione della Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso presentato dalla Procura generale contro la sentenza della Corte d’Appello di Taranto, sezione distaccata di Lecce che aveva derubricato il reato di omicidio volontario per il quale l’imputato era stato condannato a trent’anni con il rito abbreviato.
I giudici di secondo grado prima e quelli di ultima istanza ora, hanno dunque accolto la tesi della difesa di Dalemmo (nei primi due gradi affidata agli avvocati Franz Pesare e Armando Pasanisi), che ha sempre sostenuto l’involontarietà del delitto come subordine all’innocenza. La parte civile in Cassazione era rappresentata invece dall’avvocato Gaetano Paesanti del foro di Taranto.
Si mette così il sigillo sul lungo procedimento avviato ad agosto del 2014 con l’arresto dell’allora ventunenne Dalemmo perchè ritenuto responsabile dell’omicidio volontario scaturito da motivi passionali. Secondo la ricostruzione fatta nel corso delle indagini condotte dai carabinieri della compagnia di Manduria con il coordinamento del pubblico ministero, Antonella De Luca, il 7 febbraio del 2013 la vittima fu invitata nel deposito di legna da ardere di proprietà della famiglia della fidanzata di Dalemmo, dipendente della stessa azienda, che addebitava al fruttivendolo un suo interessamento morboso nei confronti della sua ragazza. Ne nacque una lite furiosa scaturita in violenza pura con Massari ferito mortalmente soprattutto per la caduta da un’altezza di circa tre metri (dallo scivolo di uno scantinato), forse accidentale oppure spinto dal suo aggressore. Fu poi caricato in macchina e lasciato da sconosciuti in condizioni disperate all’ingresso del pronto soccorso dell’ospedale Giannuzzi di Manduria. Dopo dieci giorni di agonia il fruttivendolo morì nella rianimazione di Taranto. Per la pubblica accusa e per i familiari della vittima, l’imprenditore ucciso fu attirato in un agguato nel deposito di legna dove sarebbe stato intenzionalmente ucciso. Per questo ai domiciliari finirono anche la fidanzata dell’omicida e sua madre accusate di favoreggiamento. Finite sotto processo, le due donne, Loredana Tondo di 25 anni e Antonia Piccinni di 43, sono state condannate in primo grado alla pena di due anni e otto mesi di reclusione, sentenza in attesa di appello.
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