Dopo l’interdizione antimafia disposta dal prefetto di Roma, la Igeco Spa si difende e attacca: «La maggior parte dei nostri dipendenti sospettati di aver determinato il pericolo di infiltrazione mafiosa nella società, proveniva da altra impresa ed è poi transitata in altra impresa senza con ciò determinare in capo ai loro nuovi datori di lavoro l’adozione di analoghi provvedimenti».
Anticipando un ricorso contro il provvedimento prefettizio, la società salentina mette fuori e giustifica parte delle accuse contenute nelle 36 pagine del documento interdittivo.
«Nel provvedimento – scrive in un documento diffuso alla stampa - vengono identificati 36 dipendenti, sospettati di aver determinato il pericolo di infiltrazione mafiosa nella società. Di questi, 19 provenivano dal gestore precedente al subentro di Igeco nell’espletamento dei servizi di igiene urbana». Tra questi anche alcuni lavoratori nell’organico in servizio nei comuni di Sava e Lizzano.
Nel documento la Igeco indica i casi analoghi, indicati sempre negli atti del prefetto di Roma, presenti in altri comuni dove gestisce gli appalti comunali. Così a Matino, Parabita, Novoli, Cellino San Parco, Ruffano, Monteroni.
«Un momento difficile – commenta l’amministratrice del gruppo Igeco, Cinzia Ricchiuto -, ma confidiamo che la legittimità del nostro operato possa emergere in modo chiaro in tutte le sedi giudiziarie».
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